Federico Visconti

Rettore della LIUC Università Cattaneo

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1 – Hai avuto una vita professionale ricchissima, con incarichi di grande prestigio nel mondo accademico e manageriale. Ci puoi raccontare 3 momenti chiave del tuo percorso?

Sicuramente il primo momento cruciale fu la laurea. Oggi come, allora, ad un neolaureato si paravano di fronte due principali alternative: un lavoro sicuro, in una grande azienda, oppure un percorso di sfida, in una “startup”. La prima scelta mi avrebbe dato sicurezza ma, a mio avviso, un percorso molto più strutturato senza slanci creativi. Decisi quindi il percorso a rischio: entrai in una startup lanciata da un docente della Bocconi, un’agenzia di consulenza. Fu una scelta azzeccata, se non avessi deciso questo percorso forse non sarei mai divenuto in seguito un accademico. 

Il secondo passaggio fu la mia avventura imprenditoriale: con degli amici decidemmo di fondare una società di consulenza. Era un periodo eccitante, da un lato avevamo la nostra esperienza accademica, dall’altro eravamo giovani  consulenti e al contempo imprenditori di noi stessio. Abbiamo sviluppato progetti con tante Pmi e poi, a un certo punto della storia, siamo entrati a far parte di una realtà consulenziale più grande , vivendo una nuova avventura. 

La terza sfida è arrivata con l’opportunità di trasferirmi all’Università della Valle D’Aosta, che era in via di costituzione. Il percorso in Bocconi appariva  strutturato ma, a ben pensarci,  la carriera rischiava di essere più lenta, gli spazi per arrivare  in cattedra più limitati. Andare ad Aosta è stata una scelta che  mi ha portato a crescere accademicamente in tempi  veloci. Se non fossi andato là, non farei il Rettore in  Liuc. Ne sono certo.

2 – In che modo il mondo accademico può essere di supporto sia per grandi aziende che Pmi italiane che vogliono crescere in modo strutturato. Come percepisci le prossime evoluzioni del mondo accademico?

Il collegamento tra Università e impresa è un tema vitale per lo sviluppo dell’Italia. Ovviamente quando parlo di aziende si deve poi distinguere tra Pmi, grandi aziende e multinazionali. Ognuna di queste dimensioni ha differenti necessità.

Il grande tema, la madre di tutte le battaglie,  è il collegamento tra scuola- università-impresa. Qualche passo in avanti nel funzionamento della cinghia di trasmissione sta avvenendo. Troppo spesso in passato l’Università ha vissuto  su una torre d’avorio, con dinamiche ed equilibri suoi propri, tendenzialmente distante dal mondo del lavoro. Un certo sforzo di avvicinamento è in atto e bisogna proseguire nel duro lavoro “a due vie”, evitando i mantra. Ad esempio, poiché si parla di AI non basta inventarsi un nuovo corso. Bisogna fare ricerca, con metodologie rigorose, vicine a dove i problemi di formano. Bisogna  incontrare i recruiter,  invitare gli   imprenditori e i manager nelle aule,  studiare i settori,  discutere i casi aziendali. Non solo dunque  pubblicazioni internazionali oustanding. Si tratta di avere le antenne dove i problemi del lavoro si formano. Ma attenzione: anche le aziende devono avvicinarsi alle Università, dedicando risorse a progetti di ricerca e alla crescita di giovani risorse. 

3 – Il mondo della formazione manageriale è in continua crescita. Quali ritieni saranno i prossimi passi cruciali per i futuri manager?

Penso che sul piano dei contenuti si ponga una questione di  velocità: nel 1988 Asimov diceva che “l’aspetto più triste della vita in questo momento è che la scienza raccoglie conoscenza più velocemente di quanto la società raccolga saggezza”. Il tema vale a maggior ragione oggi.  E’ difficile tenere il passo con lo sviluppo di conoscenza e forse la vera saggezza  è la strada della formazione continua, dell’aggiornamento sistematico. Serve poi una grande apertura mentale. 

Il problema culturale dell’Italia sta in una certa chiusura di fondo, in una tendenziale resistenza al cambiamento.  Lo conferma il fatto che in non pochi casi i manager vivono la formazione più come un vincolo che come una opportunità: “devo aggiornarmi perché me lo chiedono”. A mio avviso invece dovrebbe essere una scelta naturale, fisiologica, desiderata. 

4 – Il mondo della managerialità frazionale è un fenomeno in forte crescita. A tuo parere come, questo modello, può essere di supporto alle medie e grandi aziende? 

Io penso che la  del management sia una sola: quella di essere di qualità! Oggi le sfide cambiano continuamente  i confini e i traguardi del “buon management”. Puoi essere un bravo direttore marketing ma se non sei alla frontiera delle nuove tecniche, dei nuovi linguaggi, delle nuove relazione vai inesorabilmente indietro. Per questo il fatto di dedicarti a più aziende può essere una ricchezza: vedi tanti aspetti, sperimenti nuove soluzioni, incontri tanta gente da cui imparare. I manager frazionali lavorano in tale prospettiva, probabilmente hanno una marcia in più che deriva dalla varietà delle situazioni con cui lavorano e accumulano competenze ed esperienze. Tra l’altro, rappresentano una risorsa fondamentale per la PMI, che magari non possono permettersi di avere una risorsa manageriale dedicata e a tempo indeterminato, ma che quanto a  crescita manageriale hanno ancora tanta strada da percorrere.