Elena Dominique Midolo 

CEO ClioMakeUp

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D: Hai avuto una vita professionale ricchissima, con incarichi sia accademici che nel settore privato sino ad essere CEO di ClioMakeUp. Quali qualità ti hanno permesso di raggiungere questi importanti traguardi? 

Spesso mi ritrovo a ripercorrere il mio percorso. Ho 45 anni, di strada da fare ne ho ancora, però posso già tirare qualche somma. Ad oggi la qualità che ha più caratterizzato il mio vissuto professionale è l’eclettismo. La mia prima ambizione è stata la ricerca universitaria. Il mio eclettismo mi ha portato a essere sempre curiosa e a ricercare sempre nuove sfide.

Quando ho incominciato la mia avventura con Clio non avevo un manuale di istruzioni. Prima ho iniziato come sua manager poi, dopo che abbiamo raggiunto una certa dimensione, con la fondazione delle aziende sono diventata CEO. La mia indole curiosa mi ha spinto ad approfondire sempre tutto. Quando non capivo o non conoscevo qualcosa mi mettevo a studiare e a ricercare per trovare le soluzioni più efficienti.

ClioMakeUp nasce  come editore digitale,  indie,  al 100% sul verticale femminile. Insieme a Claudio, mio fratello e marito di Clio, abbiamo sviluppato un family business con un approccio operativo e strategico gestito totalmente in house. Siamo partiti da un lavoro soft legato ai contenuti e agli intangibile e siamo atterrati con un piano industriale legato alla produzione di una linea cosmetica autofinanziata e indipendente che porta il nome di Clio. La mia attività è stata sin da subito “through thick and thin”: lato prodotto ho dovuto inizialmente fare il lavoro della product manager, studiando le formule chimiche, lavorando insieme a Claudio e Clio sul design del pack, per esempio. Il mio percorso accademico di orientamento sociologico e antropologico mi ha aiutato a comprendere le dimensioni del fenomeno digitale.

Oggi dirigo un team di quasi 100 persone molto sinergico e affiatato. In azienda per me le persone sono come l’acqua in un organismo: senza di loro e senza i giusti profili la stessa sopravvivenza è messa a repentaglio.

D: Il mondo degli influencer è in grande crescita. Come pensi evolverà nei prossimi anni? 

Questa specifica realtà è molto eterogena. Da quello che posso osservare, in aggiunta a quelle che erano dinamiche già conosciute, di solito focalizzate su fashion e  lifestyle (con le relative ricadute economiche) oggi emerge tutta una pletora di temi e contenuti molto disparati. Assunto di avere un bastante numero di follower, un “influencer” può usare il proprio seguito per fare pressione su differenti attori, anche in ambito civile e politico. Il che è un bene, a mio parere, ma solo se in modalità manzoniana, e cioè “con juicio”. Quando non è cosí, l’evoluzione del mondo degli influencer ha spesso dei tratti preoccupanti. Come ogni mezzo, anche  quello digitale è uno strumento che deve essere maneggiato con cautela. Pensiamo alla sua dimensione più impattante, quella dimensione estetica-relazionale.

Tutti i social sono accomunati dall’ipertrofia dell’occhio, organo principe con il quale usufruiamo del contenuto in circolazione oggi, da quello su TikTok  a quello su Instagram. Pensiamo ai filtri: la creazione di una bellezza super idealizzata, basata su paradigmi estetici irrealistici. Uno standard inarrivabile ma che fa da  benchmark per tutti, brand, giovani e giovanissimi compresi. È un tipo di bellezza cui i brand o si allineano, creando peraltro un circolo vizioso di una estetica malata,  oppure, come nel nostro caso, cui tentano di controbattere con un controcanto. Come azienda scegliamo da sempre l’autenticità, rinunciando a canoni stilistici ed estetici fake. A  mio avviso questo tipo di bellezza ha dei limiti e arriveremo ad una rottura che si percepirà con violenza proprio nel mondo dei creatori digitali. Pensiamo alle oscillazioni del passato: dopo gli anni ’80 sono arrivati  gli anni ‘90 con Kurt Cobain che si è suicidato perché non riusciva a gestire la  tensione tra successo planetario e il suo essenziale bisogno di autenticità. Se noi pensiamo a chi produce contenuti, se noi pensiamo a questi creatori come artisti, l’autenticità dovrà tornare. L’artista vero, senza tormento interiore, senza  tensione verso l’autenticità, non esiste. Diventa simulacro di se stesso. L’epoca dei poser è destinata a trovare il suo epilogo, ma in questo momento il rischio lato business è che i brand investano in creatori digitali fotocopia incapaci di proporre contenuto rilevante e autentico.

L’utente medio è alfabetizzato, e ricerca un livello di contenuti che possa intrattenerlo. Maggior engagement si traduce in miglior capacità per un brand che fa pubblicità  di poter arrivare all’utente.

C’è inoltre da considerare che l’attention span medio sta calando sempre di più. Genz Z, Mlns e Gen A hanno un approccio sempre più “breve” alla fruizione di un singolo testo. Questo è un altro campanello di allarme non solo per l’industria digitale ma per l’intero mondo dei contenuti.

In termini di investimenti pubblicitari il tempo dedicato dall’utente al singolo contenuto diviene un fattore fondamentale per il brand. Un’ azienda che ha intenzione di fare adv con creator digitali deve comprendere che il messaggio da integrare nel flusso deve essere fluido, veloce, organico, fruibile in un tempo ridotto, ma che possa essere “vissuto”, compreso e che deve in ultima istanza “significare”, lasciare il segno. Il dato di conversione è un’altra variabile che i creatori digitali dovranno sempre più saper valorizzare e i brand sfruttare e ricercare. A mio parere  e nella nostra esperienza, la conversione è fortemente legata alla dimensione esperienza dell’utente. Un utente che vive il creatore come sincero, onesto, “non fake”, sarà più propenso a fidarsi e quindi ad acquistare servizi o prodotti veicolati da quel creatore. Clio, per esempio, per sua indole e natura, ha sempre parlato con l’utenza con sincerità e naturalezza e questo l’ha sempre premiata.

D: La discontinuità è un aspetto costante del contesto economico ed aziendale. A tuo avviso come il mondo dei creatori di contenuti digitali, sia B2C che B2B, può supportare l’evoluzione delle aziende italiane?

Rispetto ai decenni passati noi viviamo in un momento di crescente, per non dire continua, congestione. Con Clio abbiamo conquistato una posizione privilegiata: lavoriamo come “traduttori”, come ponti per le aziende verso un determinato target.

I brand apprezzano il nostro approccio coerente, il nostro patto comunicativo con l’utenza, la nostra linea editoriale che costituisce una risorsa di grande valore. Con Clio, pur seguendo le costanti mutazioni del paesaggio digitale e sociale, manteniamo fermo un approccio che sia coerente con il nostro pledge di autenticità e verità. In uno scenario di sempre più frequente e disorientante discontinuità l’utente riesce a trovare un’ ancora emotiva e contenutistica nella nostra linea editoriale. Questa aspetto ci premia commercialmente, nel dato di  conversione. In generale, quando dialoghiamo con le aziende abbiamo sempre un approccio taylor made che ci permette di triangolare la missione del cliente  con la visione di Clio e con quello che è rilevante per l’utenza.

D: Pensando ai manager Fractional, e tutte le altre figure professionali che si promuovono presso il mondo delle Pmi… a tuo avviso quali sono le caratteristiche vitali che un manager dovrebbe integrare in una strategia di personal branding, che lo proietti, nel mondo digitale, e lo renda maggiormente visibile al mondo B2B? 

In uno scenario in costante cambiamento come quello attuale, penso che tutto ciò che è modulabile, che parla di modularità d’esecuzione, di mandato circoscritto, sia lodevole e meritevole di implementazione. Come PMI, abbiamo sempre privilegiato la nostra vision, sulla quale possiamo cooptare figure esterne in vista di e in funzione di un goal specifico.

Per noi che abbiamo studiato e lavorato tra Londra e New York per anni,  la figura del manager frazionale è familiare, assimilabile a quella di matrice legale dell’ “Of Counsel”. A mio avviso per interagire con un’azienda, specialmente se a governance familiare come la nostra, è fondamentale verificare in primis il match valoriale tra le parti. Il fenomeno del Fractional è poco più giovane di Clio. Nati in un periodo di evoluzione, i Fractional rappresentano una valida opportunità, specialmente se direzionati con un fine specifico. Mi viene da paragonarli alle guide alpine. Sei con loro su uno specifico itinerario, e li segui. Poi una volta arrivati in vetta, loro scendono a valle ad accogliere e guidare un altro gruppo.