Durante una recente riunione di lavoro in cui il management di un fondo di Private Equity presenta all’azienda da poco acquisita la struttura finanziaria dell’operazione, l’imprenditore – con un atteggiamento tra l’esitante e il disorientato – domanda ai suoi nuovi soci di maggioranza come saranno d’ora in poi disciplinati i rapporti con le banche, in virtù dell’introduzione di numerose regole e vincoli il cui significato è in molti casi a lui sconosciuto.
L’episodio appena descritto – magari con sfumature talvolta differenti – si presenta non di rado quando investitori finanziari, tipicamente fondi di PE, acquisiscono quote in aziende di piccole/medie dimensioni che, proprio perché tali, non hanno familiarità e confidenza con tutto quanto un passo di questi tipo comporta: report economico finanziari trimestrali se non addirittura mensili, posizione finanziaria netta, cash flow, working capital, covenant: se da una parte sono temi quotidiani per un PE, dall’altra rappresentano un mondo spesso sconosciuto alla piccola/media imprenditoria italiana. Questo gap, magari non sempre così marcato ma comunque evidente, rischia di diventare un rilevante ostacolo per il buon esito dell’acquisizione: bisogna quindi prenderne atto ma soprattutto identificare delle soluzioni per colmarlo.
Private Equity e Mid Cap
Come testimoniato dai dati di mercato che AIFI elabora ogni anno, i fondi di Private Equity si sono dimostrati particolarmente attivi nei confronti della piccola/media azienda italiana anche nel corso del recente passato, confermando un trend che dura da qualche anno.
I dati del 2021 testimoniano una concentrazione delle operazioni su imprese di taglio medio-piccolo (86% del numero totale, 90% nel 2020), caratterizzate da un numero di dipendenti inferiore alle 250 unità. Queste aziende hanno attratto risorse per un ammontare complessivo pari a 6.253 milioni di Euro (43% del totale, 42% nel 2020), mentre il resto del mercato, con un peso del 14% in termini di numero di investimenti, ha assorbito il 57% delle risorse totali (8.446 milioni di Euro).
Anche la distribuzione degli investimenti per classi di fatturato delle aziende target mette in luce come le imprese di piccola e media dimensione (con un fatturato inferiore ai 50 milioni di Euro), rappresentino, anche per il 2021, il principale target verso cui sono indirizzati gli investimenti di private equity e venture capital in Italia, con una quota del 79% sul numero complessivo di operazioni (fonte: AIFI).
Se da una parte è fuor di dubbio che gli intermediari specializzati nel capitale di rischio possono agevolare la crescita delle piccole e medie imprese, contribuire al rafforzamento della struttura manageriale, favorire l’accesso ai mercati di Borsa, accompagnare il ricambio generazionale, dall’altra bisogna aver presente che, all’eccellenza tecnica e di prodotto che rende questo segmento così interessante per gli investitori, talvolta non corrisponde un’adeguata robustezza sul piano dei processi, dei dati aziendali e della capacità di renderli disponibili con la tempestività che l’azionista spesso richiede.
Quali strade percorribili?
Alla luce di tali considerazioni, sovente la soluzione adottata è quella dell’inserimento nell’azienda partecipata di un CFO; si tratta, senza dubbio, di un’opzione che presenta numerosi vantaggi:
- permette al fondo di introdurre in un ruolo chiave una figura che sia espressione della nuova proprietà, garantendo il presidio di una funzione determinante per il buon esito dell’investimento
- assicura all’azienda l’acquisizione e la diffusione di nuove competenze economico-finanziarie in un’area spesso dominata da un approccio ai numeri di natura “civilistico-amministrativa”
- incrementa la credibilità dell’azienda nei confronti dei partner finanziari con i quali spesso viene costruita l’operazione di acquisizione
Tuttavia, è necessario tener presente che vi sono casi frequenti in cui la scelta descritta risulta difficile da percorrere per almeno due ordini di motivi:
- le caratteristiche aziendali non giustificano la presenza di un CFO full time e il rilevante costo conseguente: non sono rari investimenti in aziende che, per dimensioni, tipologia del business, complessità, ecc. vedrebbero un forte sbilanciamento costi/benefici derivanti dall’inserimento di un CFO a tempo pieno
- talvolta, la flessibilità richiesta in termini di velocità di intervento, impegno, orizzonte temporale rappresenta un considerevole ostacolo all’incontro tra domanda e offerta di lavoro
L’esigenza di un forte presidio dalla funzione amministrazione, finanza e controllo da parte dell’investitore rimane, comunque, una priorità irrinunciabile anche dinnanzi alle difficoltà evidenziate: come provare a mettere insieme tutte le tessere del mosaico?
Una strada sperimentata con successo è quella dell’inserimento di un CFO fractional, ovvero di una persona che, d’accordo con l’azienda, dedica una parte – non la totalità -del suo tempo ad essa.
Questa soluzione può essere vincente in quanto l’inserimento di un professionista qualificato:
- garantisce il rafforzamento di una funzione chiave per l’azionista e lo sviluppo delle competenze economico-finanziarie necessarie a far fronte al nuovo corso aziendale
- presenta quelle caratteristiche di flessibilità, tempestività d’intervento, modularità del costo che per aziende di piccole dimensioni sono fattori critici affinché l’inserimento di un CFO porti un reale valore aggiunto