L’impiego di influencer è diventato negli ultimi anni un’importante leva di visibilità in molti settori. Rispetto alle altre azioni di comunicazione, tuttavia, può apparire come un canale meno strutturato e quindi più complesso da gestire se guardiamo ai nostri obiettivi commerciali.

In realtà, sia per una sua gestione ottimizzata, sia per l’analisi dei risultati esistono strumenti di grande efficientamento, basta solo avvicinarsi e impratichirsi.

Perché includere gli Influencer nelle proprie attività di comunicazione?

Una larga fetta di pubblico oggi segue con attenzione gli influencer come fonte primaria d’informazione, stile, opinione.  Sono le fasce di popolazione più attiva in termini di consumi e creazione dei nuovi stili di vita.

La filiera della comunicazione per un secolo ha previsto che l’azienda interessata a fare comunicazione parlasse in primo luogo con un’agenzia pubblicitaria e un centro media.  Poi veniva contrattualizzato un editore e un intero team creativo in agenzia realizzava il messaggio da trasmettere.  I contenuti da comunicare erano pochi e semplici, frutto di lunghi studi e operazioni di produzione per addetti ai lavori e venivano veicolati in modo molto ripetitivo sui cosiddetti mezzi classici.  Se guardiamo indietro al decennio 2005-2015, il primo sviluppo di internet e dei social media non si è discostato molto da questo processo, al di là di moltiplicare i punti e momenti di contatto.  Malgrado fossimo nella new economy, il modello di comunicazione era rimasto affine a quello del mondo analogico.  

Fino all’avvento di una specie nuova … gli influencer, appunto.  Gli influencer hanno messo alla prova l’intera catena del valore.  L’azienda oggi può parlare direttamente con l’influencer e assoldarlo per parlare ai suoi follower, senza passare attraverso agenzie, centri media, editori e creativi.

L’utilizzo di influencer può consentire di raggiungere ampie coperture di pubblico, in modo molto approfondito, unendo quindi estensione del messaggio e verticalità, mirando per target e unendo alla pura visibilità anche un sapore di contestualizzazione e affidabilità.  Questo perché l’influencer aggiunge al messaggio commerciale un valore aggiunto di stile e credibilità.  Un messaggio di vera qualità, del tutto affine al tradizionale, potentissimo passaparola (per una trattazione sistematica rimando alla lettura dei “principi” dello psicologo americano Cialdini).

Sicuramente, in una strategia di comunicazione ben scadenzata, gli influencer non rappresentano la prima leva da attivare, questo dobbiamo precisarlo molto bene.  Se l’azienda è votata all’ecommerce, una volta messa a punto usability, SEO e presenza sui marketplace, essa potrà prima acquisire notorietà e accreditamento con altri strumenti più ad ampio spettro, poi lavorare sulle partnership di canale e in parallelo operare a performance ad esempio col classico Google Ads, che rimane la nervatura delle vendite online, nelle sue versioni Search e Shopping, per cominciare, e poi YouTube se disponiamo di contenuti video.  Se l’ecommerce non è la sola priorità, ma l’azienda vende anche attraverso canali fisici, allora essa potrà anche farsi conoscere sviluppando una prima base commerciale con altri strumenti coerenti con la merceologia e il mercato, partendo dai cosiddetti low hanging fruits, ovvero da ogni opportunità di relazione.

In ogni caso, per l’azienda che supera la fase di avvio e guarda a un arricchimento e verticalizzazione delle relazioni con le diverse audience, usare influencer oggi è fortemente raccomandato nel mix di comunicazione di un brand.  Se infatti storicamente si diceva che un messaggio in TV per “passare” e tradursi in vendita doveva essere ripetuto almeno sei volte, oggi possiamo dire che esso deve provenire da almeno sei canali.  E sicuramente uno è questo, a maggior ragione se puntiamo a un’audience fortemente rappresentata sui Social.  E ancora di più se operiamo in un settore di forte appeal emozionale o life-style.  

Non ci sono oggi settori al di fuori della portata dei Social, come insegna il caso Taffo (per chi non lo conoscesse, lascio al lettore l’invito a scoprirlo direttamente sui Social).  Guardando agli influencer, tuttavia, che rappresentano un sotto-insieme del mondo Social, la loro attività è normalmente ritenuta più efficace su categorie di prodotti visivi e in grado di generare empatia con lo storytelling.  In realtà, la presenza degli influencer nella dieta mediatica dei consumatori oggi è così importante che sempre più settori vengono contaminati.  Ad esempio negli Stati Uniti diverse compagnie di assicurazione come John Hancock, TIAA e Aflac hanno lanciato campagne vita e danni con influencer di diversi livelli di popolarità.

Come gestire in modo affidabile gli influencer e come determinarne il ROI?

Abbiamo necessità di valutare l’impatto delle nostre campagne marketing, confrontando tra loro canali di comunicazione e messaggi.  Operando su obiettivi ambiziosi, ci occorrono strumenti che semplifichino la nostra azione e ci forniscano batterie di indicatori, con diversi livelli di sintesi e meglio se in tempo reale.

Nell’influencer marketing si sono affermate negli ultimi anni diverse piattaforme che consentono di entrare in contatto con una grande pluralità, o meglio con la stragrande maggioranza delle persone che svolgono questa attività e di gestirne completamente o quasi la relazione.  Tra queste piattaforme teniamo sotto controllo le italiane Open Influence e Bazzoole e l’americana Upfluence, che possono aiutarci in modo significativo nell’individuare gli influencer più adatti a noi, contattarli, partecipare all’elaborazione dei contenuti, aggiungere un valore out-of-the-box grazie alle molte esperienze trasversali e creative e infine monitorare i risultati, attraverso una serie di dashboard e strumenti di collaborazione.  

Queste piattaforme in alcuni casi hanno delle formule ad abbonamento, in altri casi applicano un mark-up rispetto al costo dell’influencer.  Consideriamo anche eventuali maggiorazioni che spettano all’agente, presente nella relazione con gli influencer a partire dalla fascia media.  Il cliente può accedere direttamente alle piattaforme oppure se preferisce delegare l’agenzia a farlo.  E si può scegliere tra un modello di lavoro più autonomo oppure con un grado di maggiore valore aggiunto da parte della piattaforma, che in tal caso mette a disposizione un team specializzato.  La piattaforma infatti non solo assiste in tutte le fasi preliminari, esecutive e di analisi dei risultati, ma può anche svolgere consulenza, project management e organizzazione di progetti speciali, come eventi su misura.  Qualunque sia il livello di servizio scelto, più o meno approfondito, sicuramente la perfetta conoscenza del mondo degli influencer offerto da questi service provider è un contributo apprezzabile e difficilmente rinunciabile per le aziende che vogliono utilizzare questo canale con un certo livello di efficienza e professionalità.  E sono moltissime oggi le aziende che stanno utilizzando questo canale, davvero in tutti i settori.

Misurando l’efficacia dell’investimento pubblicitario, oggi è molto utilizzato nell’analisi delle campagne Social il ROAS, un indice che misura il rapporto tra ricavi e costi delle campagne pubblicitarie.  Ad esempio se una campagna raccoglie 2.000 euro di fatturato e costa 1.000 euro diciamo che ha un ROAS pari a 2.  Questo indice è ottimo per confrontare diverse campagne, tuttavia non consente di cogliere l’impatto sul risultato d’esercizio.  Per questo motivo se guardiamo al margine ha più senso considerare il più classico ROI, che appunto confronta il reddito operativo col capitale investito netto operativo.  Guardare al ROI ci consente anche di confrontare la marginalità e l’efficacia per linea di prodotto e singolo item, operando quindi sui corretti abbinamenti tra influencer e articolo con riferimento all’utile per prodotto.

Ancora più corretto è non guardare al singolo acquisto bensì confrontarlo con i consumi del cliente lungo l’intero ciclo della sua relazione col brand.  E quindi considerare l’importanza dell’acquisizione di un nuovo cliente, che appunto un influencer è in grado di determinare e poi eventualmente presidiare nel tempo.  Ecco allora che se con una spesa pubblicitaria di 5.000 euro abbiamo generato 100 vendite con uno scontrino medio di 70 euro, immaginiamo nel settore abbigliamento, il nostro ROAS  di 1,4 è sicuramente insoddisfacente, il ROI è con tutta probabilità addirittura deludente, però se riusciamo a trasformare il cliente acquisito in un cliente fedele attraverso remarketing e retention, allora la campagna può essere vista sotto una luce diversa, di sicuro vantaggio.  Questa è appunto la prospettiva del Customer Lifetime Value, che confronta il costo della vendita col valore della relazione col cliente nel tempo

In altre parole, la convenienza a realizzare campagne su nuove audience, come quelle degli influencer, migliorerà quanto più sarà elevata la nostra attitudine ad accogliere quei segmenti di pubblico fidelizzandoli.  Questo può avvenire sia mediante la differenziazione del nostro prodotto e l’evidenza delle sue unicità (pensiamo a chi opera in nicchie ad esempio l’abbigliamento sportivo o da lavoro), sia attraverso strumenti di loyalty oppure flight di riattivazione della comunicazione sui canali attraverso i quali essi sono entrati per la prima volta in contatto con noi.

Operare per nicchie, una scelta di crescita lenta nel mondo off-line, può invece assicurare una scalabilità internazionale grazie all’ecommerce, abbinato a specialisti di nicchia come sono appunto molti influencer.

La strategia, prima di tutto

Esatto, partiamo dagli obiettivi e dalla strategia.  L’azienda ha fatto i compiti a casa.  Quindi conosce la propria brand identity, ha un piano marketing approvato e una strategia complessiva, nonché un piano sales per il proprio ecommerce e quindi inserisce il progetto influencer in questo contesto, con un budget. Gli influencer promuoveranno il brand dell’azienda e segnaleranno ai loro follower le sue proposte e suggerimenti di comportamenti di consumo.  Ovviamente l’influencer stesso dovrà prima apprezzare, condividere, approvare e quindi far sua tale offerta, che dovrà essere quindi del tutto rispondente al suo stesso stile, rispettosa della sua audience e della propria dimensione artistica.  L’offerta viene normalmente segnalata come contenuto sponsorizzato anche semplicemente con un hashtag #adv.

L’azienda prima di incontrare l’influencer sceglie il proprio messaggio commerciale, ne definisce il tone of voice e ne evidenzia punti di forza e stile.  Nei brief rivolti agli influencer si indicano anche i cosiddetti do’s e dont’s ovvero tutti quei comportamenti e modalità di rappresentazione che per il cliente possono più o meno andare bene.  Molti influencer hanno animali, possono mostrarli in video o in foto vicino al prodotto, e magari, se è un alimento, farlo assaggiare al cagnolino?  Se il prodotto è un’oliva, può essere lanciata e magari mangiata al volo?  Fino a che punto si può scherzare o giocare col prodotto?  In che modo deve essere nominato, cioè il suo nome può essere abbreviato o trasformato in un nickname ironico?  Tutti casi realmente accaduti.  Ecco, questo genere di cose, che hanno senso soprattutto quando gli influencer sono molti – di diversa cultura, soprattutto se operiamo a livello internazionale – e quindi le ipotesi creative diventano infinite.  Queste valutazioni rientrano nel cosiddetto Influencer Brief.  Si tratta di una serie di contenuti strategici ed operativi, il tipico brief di marketing, declinato però sul mondo degli influencer e che quindi include tutte le informazioni strategiche e operative fondamentali non solo per guidare l’influencer ma anche e soprattutto per ingaggiarlo.  

Nella fase pre-produttiva di relazione con l’influencer, infatti, mediante il contratto e il successivo Brief, da un lato vengono definiti obiettivi e metriche specifiche (numero di post di vario tipo per ogni canale, minimo garantito di impression e interazioni, flusso di approvazione, livello dei diritti, etc.), dall’altro si cerca una anche un vero e proprio ingaggio motivazionale dell’influencer che, molto più di un editore tradizionale, ha un approccio artistico, emotivo nonché fortemente attenzionato alla propria coerenza e reputation.

In questo brief, l’elemento più importante, come sempre, è quello che tipicamente si trova in fondo alla lista, ovvero la call to action, cioè dove l’azienda vuole in definitiva che l’influencer indirizzi il proprio pubblico, con quale finalità e in che modo.  Fermo restando che non si tratta mai di azioni forzate, bensì della ricerca di un vero e proprio match tra il posizionamento dell’influencer, il suo pubblico e il brand cliente, di cui la call to action rappresenta semplicemente la sintesi naturale.  La call to action potrà essere quindi la visita del profilo dell’azienda, del suo sito di eShop su una pagina specifica, l’approfondimento di un’offerta, l’impiego di un buono sconto, la partecipazione a un evento o a un’iniziativa.

La selezione degli influencer

Intraprendiamo le nostre azioni marketing sempre partendo da un test, su un piccolo budget, per poi ampliare.  Dopo il test confronteremo il risultato con le perfomance delle altre campagne che abbiamo l’abitudine di realizzare e su cui abbiamo metriche solide.  Ovviamente sappiamo che rispetto alle campagne puramente performance, gli influencer danno anche un impatto sul brand, tutorial, feed-back anche di medio e lungo periodo.

Attraverso le piattaforme di selezione degli influencer che nominavamo poco sopra possiamo individuare un gruppo di influencer compatibile con la porzione di budget che abbiamo deciso di destinare a questa prima fase pilota.  Se operiamo a livello internazionale, si può partire da un Paese, selezionando due o tre influencer.

Bazzoole chiama Novice gli influencer con meno di 10 mila follower, Micro fino a 100 mila, Top da 100 mila a un milione e Celebrity oltre questa cifra.  La selezione degli influencer, per partire, può avvenire quindi all’interno di una di queste fasce, che hanno una grossa variabilità di spesa.  

La fascia Novice ci può consentire di operare in cambio merce.  E’ un segmento interessante per una Startup o una PMI perché questi infuencer hanno un buon grado di flessibilità e possono assicurare un numero di contatti superiore a quello degli grandi influencer in proporzione al budget.  Sono sicuramente time consuming e il livello di scala che consentono è limitato.  Però si tratta di persone che hanno quasi sempre un lavoro complementare a quello di influencer, che può rappresentare un’opportunità.  Ad esempio, chef che possono fare degustazioni nel loro ristorante, sportivi e istruttori che possono parlare di noi ai loro corsisti, e così via.  Guardiamo quindi alla relazione a 360 che possiamo costruire e ai benefici da un punto di vista ampio. 

Le fasce Micro e Top sono quelle su cui si riesce ad articolare operazioni interessanti per scala, potendo contare su più influencer, ad un budget ragionevole e con una buona dose di disponibilità.  Sono un segmento interessante anche per le società che hanno budget importanti, quindi medie e grandi aziende.  Queste potranno scegliere se attivare pochi influencer Celebrity oppure un più ampio insieme di influencer Top.

Conviene operare con influencer specializzati nel settore merceologico d’interesse per l’azienda, con uno stile in linea con il nostro brand e affini in termini di posizionamento di prodotto, perché ciò ci consentirà di incontrare il pubblico più adatto a noi.  Una volta individuati influencer vicini al nostro marchio, se la relazione è positiva, può essere un’ottima idea lavorare su un programma di iniziative continuative, perché porterà l’influencer a un maggior impegno e ingaggio – cosa che noi dovremo sempre verificare, mai dare per scontata – e il suo pubblico a vederci non come un mero sponsor ma come una specie di amico di famiglia.

Si può allora procedere mantenendo continuità con gli influencer migliori, che possono essere coinvolti anche in iniziative off-line (dagli eventi all’advertising tradizionale) e testare nuovi influencer per continuare ad aggiungere segmenti di pubblico.

Può essere una buona idea, successivamente, inserire nel mix di influencer anche alcuni che non siano specializzati nella categoria di prodotto ma che condividano lo stile del brand, allo scopo di raggiungere un target più ampio, parlando su temi meno contesi dagli altri sponsor dell’influencer.  Ad esempio, se la nostra azienda opera nel food, potremo, ovviamente in seconda battuta, provare a coinvolgere influencer nel segmento life-style o fitness.

Tornando al processo di selezione degli influencer, una volta individuato un pool di soggetti per noi interessanti, li gerarchizzeremo guardando alla numerosità dei loro follower, al loro engagement rate medio e su post analoghi a quelli che prevediamo per noi.  Alcune piattaforme come Open Influence sono in grado di individuare l’engagement rate specifico per categorie di prodotto, analizzando tag, hashtag e persino mediante strumenti di riconoscimento visivo che impiegano software di machine learning.  

E’ importante anche tener conto che alcuni influencer possono usare bot o agenzie esterne per accrescere la propria fanbase o il volume di like.  Alcune piattaforme come Bazzoole hanno indicatori di analisi a questo proposito che vanno ad individuare ad esempio la composizione per Paese della fanbase oppure che vanno a studiare attraverso machine learning gli scostamenti dalla media dei principali indicatori di performance al fine di misurare il peso dei dati anomali e quindi sospetti.

Open Influence garantisce un servizio di monitoraggio in fase di selezione, andando a verificare provenienza dei follower, tempi di costruzione della fanbase e delle interazioni, che appunto potrebbero provenire sia da bot sia da team di user compiacenti.

In aggiunta, occorre verificare la qualità degli influencer anche in termini di capacità di osservare non solo la policy e lo stile del brand, ma anche di avere modalità di relazione corrette col pubblico.  Ad esempio sono noti i casi di influencer che hanno impattato negativamente sul brand con una distribuzione incontrollata di codici sconto o con azioni non coerenti con la netiquette dei social ovvero addirittura illegali come l’utilizzo di brani coperti da copyright senza averne acquisito i diritti.

L’ingaggio degli influencer

Gli influencer possono essere contattati da noi stessi direttamente sui social oppure, se vogliamo operare in modo strutturato e siamo quindi una media o grande azienda, attraverso una piattaforma.  Oppure possiamo affidare questa operazione alla nostra agenzia pubblicitaria o al team stesso della piattaforma.

Normalmente si pubblica un’offerta, che per gli influencer al di sopra di alcune decine di migliaia di follower è sicuramente di carattere economico, altrimenti, per influencer piccoli, può essere anche il prodotto in omaggio o un’esperienza.  Si prevede un determinato pacchetto di contenuti per un corrispettivo, che sarà calibrato sulle performance attese.

L’influencer viene contrattualizzato in base a un modulo predefinito dalla piattaforma, che include anche la titolarità per l’azienda a riutilizzare i contenuti per un certo periodo. In fase di ingaggio valutiamo bene il tipo di diritti che stiamo acquistando, in associazione alla produzione dei contenuti, verificandone estensione sui mezzi, durata, modalità di riutilizzo.

Segue poi il momento del brief, che auspicabilmente avviene in una video call, tra azienda o agenzia e influencer, che ha la struttura del classico pre-production meeting e in cui argomenti fondamentali sono come trattare il prodotto e a quale call to action invitare, come abbiamo spiegato.

I contenuti video, immagini e testi verranno poi approvati dal cliente prima di essere pubblicati, coi giusti tag.  E il cliente potrà ripubblicarli sui propri profili e sul sito.

Infine, inserendo l’impiego di influencer in una pianificazione strategica di ecommerce, costruiamo un percorso per livelli di budget progressivo, via via che miglioriamo il ROI.  Nel tempo confermeremo gli influencer più sinergici a nostro brand e amplieremo su nuovi influencer.  Questo ci consentirà da un lato di ripetere le occasioni di visibilità su pubblico degli influencer più efficienti, costruendo fiducia; e dall’altro di espandere su nuovi segmenti di pubblico.

Con gli influencer più efficaci potremo anche creare eventi, ad esempio visite in azienda, test di prodotto, co-creazione, incontro con i follower o con personaggi famosi.  Queste iniziative verranno misurate in termini di ROI, ma allo stesso tempo sono occasioni straordinarie per generare il cambiamento e energizzare la dinamica dell’impresa nella relazione tra dipendenti, pubblico e collaboratori.

Call to action e metriche

Quando guardiamo agli obiettivi commerciali di breve termine delle nostre campagne influencer, possiamo considerare questa gerarchia: 

  • Vendite dirette, che è l’obiettivo primario se stiamo facendo ecommerce
  • Visite al sito e all’eShop, che sicuramente è il passaggio preliminare
  • Like e commenti al post, che sono ottimi presupposti per la crescita del brand
  • Crescita della fanbase, che è l’accumulazione di un asset di visibilità futura

Nell’ecommerce, l’azienda vorrebbe affidare agli influencer l’obiettivo di indirizzare i follower al proprio eShop e più precisamente a una landing page che illustri e proponga il prodotto che è stato valorizzato.  Questo in alcuni casi richiede dei punti di attenzione, perché mentre alcuni social come Facebook e Linkedin consentono l’inserimento di un link, in varie forme, sia nel testo (caption) sia come oggetto del post, altri social come Instagram e TikTok, che sono proprio quelli oggi prioritari per gli influencer, non lo consentono.

Per quanto riguarda i Social che consentono la proposizione e sponsorizzazione di un link, come appunto Facebook e Linkedin, dobbiamo considerare che spesso i post di questo genere vengono penalizzati perché portano traffico al di fuori del Social.  Quindi quello che si può fare è mitigare questo genere di penalizzazioni essendo sempre aggiornati sull’evoluzione dell’algoritmo del Social in oggetto e sperimentando i migliori work-around.  Ad esempio valutare il link come obiettivo di campagna rispetto al link nel testo, oppure inserirlo nel primo commento.  Sarà opportuno anche alternare post senza link a post con link.  E infine confrontare le diverse tecniche se usate in organico o in sponsorizzazione.  Altra raccomandazione, sarà sempre utile impiegare landing page coerenti col post per massimizzare i risultati della customer journey e per realizzare azioni efficaci di remarketing.  L’impiego di codici UTM, infine, consentirà di tracciare la fonte e quindi attribuire poi la provenienza del traffico su Google Analytics.

Su Facebook è anche possibile, e funziona molto bene, inserire sulle foto il link a Facebook Shop, inclusivo del prezzo, che poi a sua volta può indirizzare all’eShop del brand.  Quindi, ad esempio, l’influencer può mostrare diversi prodotti in foto, ciascuno con un link differenziato alla propria scheda prodotto su Facebook Shop e di qui al sito di ecommerce della società.

Sui social che non consentono l’inserimento di un link nel post, come Instagram e TikTok, invece, l’influencer potrà presentare il prodotto o l’eShop taggando il profilo del cliente.  E su di esso, nella bio, sarà indicato il link allo store.  Nella bio è possibile indicare un link solo, per cui quello che l’azienda può fare è di metterlo bene in evidenza sul proprio profilo, eventualmente con testi e icone.  

Se si vogliono mettere in evidenza più link, allora il cliente può creare più profili, uno per ogni linea di prodotto, e ciascuno di questi verrà taggato dall’influencer, assicurando quindi una canalizzazione più mirata.  Grandi marchi come Armani, Zara e Mercedes hanno infatti più profili, a volte anche solo per sottolineare una campagna (segnaliamo lo storico caso “gla_build_your_own”).  L’alternativa è utilizzare software come Linktree, che mette a disposizione dell’utente una sequenza di link.

Teniamo conto che Instagram offre anche le Storie, che consentono oggi l’inserimento dello sticker Link e che sono sponsorizzabili.  Le Storie fanno oggi parte integrante di tutti i PED e di tutte le sponsorizzazioni.  Per la loro natura effimera (solo 24 ore, ma possono essere archiviate sul profilo) consentono agli influencer una notevole libertà, ironia e sperimentazione.  Le Storie spesso appaiono anche come versioni più spontanee e situazionali dei post e sono quindi lo strumento su cui puntare decisamente nell’ecommerce.   

Una strategia di sostegno allora è l’impiego di codici sconto, che possono essere diffusi dall’influencer per un utilizzo limitato in quantità e durata, in modo da vincolarli in linea di principio ai suoi follower più stretti.  Se proposti con efficacia, i buoni sconto sono quindi la soluzione ideale per motivare i follower e allo stesso tracciare con esattezza l’effettivo risultato sul carrello.  Il puro UTM infatti potrebbe non tracciare il completamento dell’atto d’acquisto, se esso avviene in un momento differito o su un diverso device e comunque non traccia l’avanzamento lungo il funnel d’acquisto ma solo il suo perfezionamento finale.

Un ulteriore metodo per attribuire i risultati è quello temporale, guardando agli impatti sul carrello in corrispondenza dei momenti in cui i contenuti vengono postati dagli influencer.  A tale scopo quindi conviene fasare gli influencer ad esempio su settimane differenti.

Guardiamo anche ad altre metriche, quelle d’ingaggio, ovvero Like, Condivisioni, Save, True Play, che potranno essere confrontate con le normali campagne che realizziamo.  Per prima cosa occorrerà fare una verifica di correttezza dei dati, andando a controllare eventuali punte sospette che potrebbero essere dovute a boost utilizzati dagli influencer per sostenere i propri risultati.  Successivamente occorrerà confrontare le metriche di CPM e di costo per like rispetto alle consuete campagne tabellari.  Verificheremo sicuramente un CPM più elevato, ma un costo per like e qualità delle interazioni estremamente interessante.  E in definitiva saranno i numeri del carrello, analizzati in tutto il funnel commerciale dalla landing page all’ordine a testimoniarci l’efficacia dell’operazione.

Consideriamo anche la possibilità di sponsorizzare i migliori contenuti degli influencer, cosa che ad esempio Open Influence include tipicamente nei propri pacchetti di servizio, con risultati molto elevati e sicuramente sinergici nel valorizzare i contenuti creati.

I passi successivi e il futuro

Con gli influencer più performanti potremo costruire un percorso di continuità e quindi di rafforzamento, che potrebbe portare anche a collaborazioni più articolate, ad esempio pensiamo a una loro presenza sul nostro sito, su altri social oppure nella nostra campagna off line o ancora ad eventi in cui i nostri influencer preferiti potrebbero incontrare i fan.

Con gli influencer meno performanti, invece, potremmo fare delle valutazioni per comprendere quali colli di bottiglia o quali incoerenze tra il nostro funnel e il racconto dell’influencer hanno determinato il rallentamento.  E ovviamente far tesoro dell’esperienza per testarne di nuovi.

Per il futuro, teniamo sotto controllo l’evoluzione funzionale dei Social.  Come valorizzare commercialmente il lavoro creativo degli influencer utilizzando gli strumenti che vengono continuamente rilasciati.  Sia Facebook che Instagram stanno inoltre lavorando all’ampliamento dei loro Shop, oggi con funzionalità basiche, mentre TikTok sta irrobustendo le collaborazioni con Shopify, Square, Ecwid, PrestaShop per la realizzazione di una in-app shopping experience, annunciata già a settembre 2021.  Ci aspettiamo anche il nuovo trend del Live Shopping, ovvero sessioni in tempo reale dell’influencer coi propri fan con consigli per gli acquisti.  E quest’anno cogliamo l’occasione per sperimentare il Metaverso, ci sono già esperienze interessanti cui ispirarsi!

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Giovanni Viani
Giovanni VianiPartner yourCMO