Cosa significa D&I e perché conviene alle aziende
Facciamo innanzitutto chiarezza sui termini:
- Diversity significa permettere attivamente a persone dai più diversi background (in termini di età, religione, etnia, orientamento sessuale, ecc.) di essere parte a pieno titolo dell’azienda, nel rispetto e nella considerazione delle loro differenze
- L’equità implica la possibilità che tutti in un’organizzazione abbiano le stesse opportunità e che pregiudizi, discriminazioni o molestie siano sistematicamente bandite in ogni processo o attività interne ed esterne
- L’inclusione comporta riconoscimento e la valorizzazione di tali diversità in modo che ogni individuo possa contribuire al successo comune proprio per le qualità che lo rendono diverso.
Il concetto di Diversity & Inclusion si è sviluppato nel corso degli ultimi 30 anni del 20° secolo negli Stati Uniti ma ha assunto le forme che oggi conosciamo prevalentemente negli ultimi 20 anni. La sua nascita, sviluppo ed espansione trova le proprie radici nei cambiamenti socio-demografici, accaduti prima negli Stati Uniti e poi propagatisi in Europa, che hanno portato, all’interno delle grandi corporation, persone la cui “diversità” non era occultabile, sia per ragioni oggettive (ad esempio etnia) sia in seguito a cambiamenti culturali che hanno spinto sempre più persone a vivere la propria “diversità” alla luce del sole (con riferimento, ad esempio, all’orientamento sessuale). Anche in seguito ad interventi legislativi e giurisprudenziali molte persone, portatrici di diversità, si non visti riconoscere alcuni diritti fondamentali che hanno potuto dar loro la possibilità di diventare protagonisti nelle proprie aziende. Nel corso del nostro secolo, le politiche di D&I hanno portato le aziende ad allargare sempre di più il perimetro delle diversità, da tutelare prima e da valorizzare poi, a tutte le altre che oggi ci suonano familiari (genere, età, disabilità, ecc).
Diversamente da quanto accaduto in larga parte all’inizio del secolo per le tematiche di Corporate Social Responsibility, legate spesso a temi ambientali, di protezione/tutela dei lavoratori di specifiche aree del globo o di “eticizzazione” della propria supply chain (si pensi ai “blood diamonds” o ai periodici report che denunciano le cattive condizioni di lavoro nei fornitori di colossi come Nike, H&M, ecc.), che molte aziende hanno “cavalcato” forse più per ragioni di marketing che per vero convincimento, l’adozione di politiche di D&I è diventata un must have soprattutto in seguito a ricerche e studi scientifici che ne hanno dimostrato il vantaggio oggettivo per le aziende.
Ad esempio, secondo un studio di McKinsey, le aziende che si posizionano nel quartile più alto in termini di diversità del proprio management team hanno il 33% di probabilità in più di essere leader nel proprio mercato. In altre parole, la diversità e l’inclusività rappresentano un potentissimo moltiplicatore di successo. Ed in più diventa un fattore di attrazione dei talenti, di motivazione interna e di drastica riduzione del turnover. Quindi risultati migliori e sostenibili nel tempo unitamente a costi minori!
Ma qual è la correlazione tra una cultura aperta, inclusiva e “diversa” ed il suo successo economico? È semplicemente quello di liberare l’energia delle persone, rimuovendo tutti gli ostacoli alla sua libera e completa espressione. Ogni volta che un omosessuale ha paura del giudizio degli altri quando parla del suo compagno, ogni volta che un disabile deve affrontare ostacoli di vario genere per svolgere il proprio lavoro, ogni volta che un donna vede un pari livello organizzativo uomo che cresce di responsabilità e di retribuzione, ogni volta che un dipendente senior si rende conto di essere relegato a ruoli non in linea con le sue competenze perché considerato non più in grado di raggiungere gli obiettivi assegnati, ogni volta che questo accade chi si ritrova in tale situazione deve utilizzare un livello elevato (a volte elevatissimo) delle proprie energie psico-fisiche per, alternativamente, nascondersi, giustificarsi, auto-motivarsi, arrabbiarsi anche. E le energie non sono infinite: se vengono dedicate in gran parte a gestire l’ambiente circostante, queste vengono inevitabilmente sottratte alla creatività, all’innovazione, al pensiero divergente, alla capacità di fare squadra e soprattutto a percorrere il famoso extra mile che sempre più viene richiesto in azienda.
Rendere libere le persone di essere se stesse e di vivere liberamente la propria diversità in un ambiente capace di creare le condizioni culturali ed organizzative perché questo accada significa per l’azienda disporre di un potenziale incredibile di talenti, visioni, idee, competenze che sono in grado di assicurare il suo successo futuro.
Quali sono le condizioni perché una strategia di D&I abbia successo?
Le politiche di diversity e inclusion sono derivate della cultura aziendale e come tale hanno bisogno di un profondo e radicato cambiamento interno per essere efficaci. Questo perché qualunque politica varata da un’azienda in tale campo necessita di un solo, imprescindibile, requisito: essere credibile. Non basta un enunciato, un comunicato od anche un piano strutturato di comunicazione a rendere un’azienda inclusiva e capace di trarre vantaggio dalle diversità interne se, nella vita quotidiana, nel vissuto relazionale interno i principi declarati non trovano applicazione su larga scala e magari in assenza di interventi correttivi. Il cambiamento culturale che rende di successo queste politiche funziona se:
- parte dall’alto: il top management deve essere il maggiore sponsor di tale cambiamento facendosi garante, nelle parole ma soprattutto nelle azioni, della sua effettività attraverso l’esempio
- è tangibile e concreto, tale da rimuovere quegli ostacoli (pratiche, policy, ecc.) che ne impediscono la piena realizzazione
- passa attraverso un percorso di education della popolazione aziendale che crea un ambiente lavorativo dove tutti possano, e soprattutto siano messi in condizioni di esprimersi
Questi sono i passaggi fondamentali che spesso molte aziende, soprattutto in Italia, fanno fatica ad intraprendere e che costituiscono il percorso irrinunciabile per diventare aziende realmente inclusive e diverse.
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