di Emanuela Sermidi, Senior Advisor yourHR


LA SOLITUDINE DI CHI, PER PRIMO, VEDE L‘ICEBERG

Nel mio lavoro avevo già seguito molte operazioni di ristrutturazione e riorganizzazione, ma questa che ho gestito nel 2018 è stata particolare per tanti motivi.

Per il tramite della società per cui lavoravo  ero stata contattata direttamente del CEO Global e dal CFO Europeo di una multinazionale giapponese, che opera nel settore biomedicale, per valutare la situazione generale del costo del lavoro (ed eventualmente apportare delle revisioni ) della filiale italiana. Nel mio immaginario pensavo di dover fare una attività veloce e non particolarmente impegnativa, in considerazione del fatto che era comunque una società strutturata.

Come mi sbagliavo….

I dipendenti, a tutti i livelli dirigenti compresi, erano del tutto sereni e assolutamente inconsapevoli del fatto che la società avesse dei numeri da pre-fallimento. I bonus (consistenti) venivano erogati con regolarità, così come a Natale si sprecavano costosi regali a dipendenti e clienti… ma intanto l’iceberg si avvicinava. Oltretutto per disposizioni del Presidente non potevo assolutamente interfacciarmi con i referenti locali che gestivano il personale, né con lo studio di consulenza del lavoro. Tutto doveva restare riservatissimo: avrei dovuto lavorare solo col CFO europeo, un olandese, e con il Presidente giapponese (entrambi basati all’head quarter europeo in Olanda).

Di fatto erano anni che, senza affrontare efficacemente il problema, si trascinava una situazione pesante dal punto di vista del fatturato e dei margini per molteplici motivi, compreso quello dei dazi doganali sui dispositivi importati dal Giappone dove si svolge, in parte, la produzione. Tutto il delta negativo era sempre stato coperto direttamente da Casa Madre o dall’headquarter europeo.

Finché nel 2018 la bolla è esplosa, ed io mi sono vista l’iceberg davanti.

DARE L’ALLARME: L’ESPLOSIONE DI EMOZIONI

L’unica via di uscita per salvare la società era purtroppo ristrutturare pesantemente e salvare il salvabile.

La società doveva ristrutturare la propria organizzazione, riducendo anche il numero di dipendenti e i relativi costi, al fine di adeguarsi alle nuove strategie aziendali. Era quindi necessario avviare una “procedura di licenziamento collettivo” formale, secondo la legge italiana sul lavoro.

Dopo  aver spiegato (in inglese) ai miei unici interlocutori la procedura relativa ai licenziamenti collettivi ho avuto il loro consenso a procedere. Leggevo però negli occhi del Presidente Giapponese tutto lo sconcerto per dover seguire tutti i passaggi previsti dalla normativa italiana sul lavoro. In Giappone è molto più easy…..

A quel punto si potevano mettere in mare le scialuppe e ho avviato formalmente la procedura, applicando la normativa sui licenziamenti collettivi, facendo sempre report e dando feedback in inglese all’HQ europeo.

In considerazione del fatto che i miei referenti diretti erano:

  • Il CEO giapponese nonché presidente del CdA a Tokio,
  • Il CFO europeo

ed era un’operazione estremamente riservata, nella misura in cui avrei dovuto licenziare anche il direttore del personale della filiale italiana, si poneva il problema di chi avrebbe dovuto parlare con i dipendenti per informarli della situazione e del fatto che tanti di loro sarebbero stati licenziati.

I miei due referenti non solo non parlavano italiano ma, in realtà, non avevano il coraggio di affrontare una platea che si sarebbe poi rivelata alquanto bellicosa. E’ toccato dunque alla sottoscritta convocare la riunione con tutti i dipendenti e spiegare loro che la realtà era molto meno edulcorata di quella che pensavano. Per correttezza e trasparenza avevo invitato a partecipare alla riunione con i dipendenti anche i sindacati.

E’ difficile esprimere e descrivere le emozioni che sono esplose durante quella riunione:lo sconcerto, l’incredulità, la paura, la rabbia, l’impotenza.Naturalmente io ero diventata il capro espiatorio, rappresentavo di fatto l’azienda.Me ne hanno dette di tutti i colori, con un’aggressività, in alcuni casi decisamente marcata. In tutta la mia carriera non le ho mai “prese” ma quella volta ho rischiato…. Meno male che ero seduta vicino ai sindacalisti! Protetta dalla controparte……

SCIALUPPE IN MARE: L‘EVACUAZIONE

Superata e sopravvissuta a questa prima riunione,necessaria per andare avanti con gli step successivi, ho poi gestito autonomamente tutte le fasi del processo di ristrutturazione. La mia è stata una consulenza molto operativa.

  • Riunioni di preparazione con il top management e pianificazione delle azioni;
  • Preparazione dei documenti necessari all’avvio della procedura per il licenziamento collettivo degli impiegati e quella parallela per il licenziamento di due dirigenti;
  • contatto con i sindacati territoriali sia per gli impiegati che per i dirigenti e l’associazione dei datori di lavoro;
  • Incontri con i sindacati;
  • Incontri con i dipendenti;
  • Finalizzazione dell’accordo di licenziamento e licenziamento;
  • Riunioni formali con ciascun dipendente licenziato presso l’ITL – Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Ho poi dovuto preparare per il CFO del Gruppo l’analisi dei costi, svolta in modo estremamente dettagliato e personalizzato per ciascun dipendente coinvolto nel processo di ristrutturazione e finalizzata a trovare l’accordo economico con i sindacati.

Last but not least: ho predisposto il budget dei costi di tutta l’operazione da presentare, per approvazione, direttamente al CdA a Tokio.

L’ATTRACCO AL “MOLO 59”

Il vero Titanic, come noto, non giunse mai al molo 59 di New York. Quello su cui viaggiavo io, invece si.

L’operazione si è conclusa con la firma dell’accordo sindacale e di tutti gli accordi transattivi individuali, che ho sempre predisposto io. Ho costruito per i dipendenti delle proposte economiche tali da garantire un’uscita più che dignitosa e con la possibilità di rimettersi in gioco nel mercato del lavoro.

Il Budget è stato rispettato e sono anche riuscita a fare spendere alla società meno di quanto stanziato.

Il Presidente ed il CFO mi hanno poi espresso tutta la loro riconoscenza non solo per le attività svolte ma anche per aver saputo ascoltare e mediare con ciascuno dei dipendenti coinvolti nel processo di ristrutturazione. Il “mio Titanic” non è affondato ma lo schianto contro l’iceberg… quello sì, ha lasciato il segno.

Mi candido per una laurea ad honorem in psicologia.

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