D: Ci vuoi raccontare delle sfide e le esperienze che ti hanno professionalmente plasmata nella persona che sei oggi?

Ho studiato economia all’Università Sapienza e, in seguito, alla Columbia University di New York. Quando stavo finendo i miei studi vengo a sapere che Draghi, allora direttore generale al tesoro, aveva creato un consiglio degli esperti. Inizialmente era un organo composto solo da profili senior, tuttavia aveva in un secondo tempo deciso di aprire ai giovani. Mandai la mia candidatura e feci alcuni colloqui. Così venni presa. Era il 98-99. Rimasi lì come consigliera per 12-13 anni. Una esperienza di grande valore per me. Mi permise di affrontare i dossier che hanno plasmato gli ultimi anni dell’Italia. Era poco prima dell’entrata nell’euro, Ciampi ci correggeva a volte spiegandoci il valore di questo progetto. Ho seguito tematiche differenti: finanza pubblica, quadri macro, numerosi incontri con OCSE, Fmi etc.

In seguito un altro passaggio fondamentale del mio percorso mi ha portato in Germania. Lì ho ricominciato a insegnare e scrivere. Per documentarmi sul metodo politico dell’allora neo eletta Merkel cercai qualche libro in Italia. Mi accorsi che non c’era nulla. Quindi ho scritto un libro (“il metodo Merkel”) che ha spiegato come questa donna ha mantenuto salda la Germania durante i suoi mandati. In Germania è facile avere accesso a persone politiche quindi ho avuto modo di raccogliere numerose interviste, tra cui quella della signora Merkel, senza particolari problemi. Nel 2012-13 sono tornata in Italia. Oggi svolgo varie attività. Sono docente all’Università Luiss di Roma e alla Stanford University di Firenze, sono membro di alcuni Cda di aziende private e think tank (come lo IAI). Ho fatto parte di un progetto ideato da Francesco Rutelli per creare scuola di formazione per personale della pubblica amministrazione, su ispirazione delle grandi scuole di formazione francese come la Ecole Nationale d’Administration (ENA). Lo scopo è formare una classe dirigente di burocrati per essere di supporto alla gestione della capitale.

 

D: Come vedi lo scenario economico italiano ed europeo nei prossimo mesi (12-19)?

Vedo un’opportunità che non ha precedenti, dovuta ai fondi europeo. Devo ammettere, tuttavia, che non sono molto ottimista. Il metodo che ritengo verrà utilizzato è quello di sempre. In passato il metodo di gestione di risorse economica è sempre stato uno. Si mandano le “schede” ai singoli ministeri ed esse le compilano, richiedendo fondi per le aree di loro competenza. Il rischio è che si crei una lista della spesa. Stiamo affrontando un evento esogeno che colpisce in modo asimmetrico. Ogni nazione è entrata nel Covid con situazioni pregresse differenti. Noi italiani siamo una delle nazioni che è entrata nella pandemia con maggiori difficoltà: debito elevato e crescita zero. Consideriamo che ad oggi i 100 miliardi emessi sono tutti a debito. Anche prima del Covid si spendevano soldi in soluzioni simili: pensiamo ai 20 miliardi spesi negli anni per 80 euro, Quota 100 e reddito di cittadinanza. Investimenti in politiche sociali ve ne sono state poche. Si sono messe risorse dove servivano meno. Si nota oggi, grazie ai dati resi pubblici, che i 600 euro sono stati distribuiti con una logica molto amplia. L’arrivo dei fondi europei avrà un impatto se si cambiano gli approcci operativi. Prima di tutto andrebbe preso il MES. Abbiamo già preso il SURE. Un altro aspetto importante è avere una visione di insieme una proiezione nazionale, a cui ogni ministero collabori contribuendo con progetti operativi. Consideriamo gli investimenti: il verde e il digitale sono due assi su cui muoverci, eppure serve molto coordinamento tra i ministeri, a vantaggio delle aziende. Poi si deve parlare di riforme. Un tema caldo perché mentre gli investimenti saranno “pagati” dalla UE, le riforme devono essere generate dal governo. Le riforme sono sempre un evento che ha un costo politico. Una scelta critica se un governo ha delle instabilità. Sul tema di smart-working, per esempio, deve avere degli indicatori di produttività, soprattutto se parliamo di pubblica amministrazione. La stessa demografia è un tema molto serio che interessa le aziende, sia in termini di lavoro che di consumi. In Francia e in Germania si sono fatti passi avanti in questo senso. In Italia ancora si attendono scelte del governo. Anche il tema della spesa è rilevante: l’attuale governo è stato eletto sulla promessa del taglio delle spese, ad esempio le Tax Expenditures. Oggi le stesse spese sono aumentate. Esse sono un peso sui contribuenti e le aziende.

 

D: La crisi farà affermare strumenti finanziari nuovi e/o alternativi?

Difficile a dirsi. A mio avviso una forte spinta deve arrivare dallo stato. Penso per esempio, alla questione del blocco dei licenziamenti. È un’azione che lo stato deve rivedere. Di fatto impedisce la libertà delle aziende e la loro ripresa organica e naturale. Penso anche alle garanzie di enti statali come Sace: si può fare di più. Ad oggi se osserviamo le garanzie erogate, il loro numero è tutto sommato molto contenuto.

 

D: Quali azioni sul fronte finanziario ed economico dovrebbero essere implementate dal governo per le pmi?

Semplificazione. Per le aziende che vogliono investire in Italia è sfidante il sistema normativo nazionale. Esistono numerosi indici che danno un’idea della complessità, per un imprenditore straniero, di entrare nel nostro mercato. Consideriamo, per esempio, il concetto di contribuzione varata di recente dal ministro Provenzano. Sappiamo che in passato non ha funzionato. Se intorno ad un progetto del genere non si crea una struttura di attrazione di investimenti non si avranno grandi risultati. C’è anche da considerare il tema della formazione over 50. Opposta al concetto della quota 100. Abbiamo una demografia in contrazione e quindi i lavoratori over 50 devono essere riformati e tornare nel mondo del lavoro. Le loro competenze sono un valore.