D: Grazie Riccarda per averci concesso questa intervista: ci vuoi raccontare un po’ della tua straordinaria esperienza professionale fino a Lifeed?

Lifeed (precedentemente nota come MAAM) è una piattaforma di “augmented training” che trasforma gli eventi della vita reale in palestre di sviluppo delle competenze soft.

Questa idea nasce e si evolve nel corso degli ultimi 8 anni a partire dalla mia esperienza personale. Ho lavorato per 15 anni come manager in grandi aziende dove venivo coinvolta in aule di formazione alle soft skill molto dispendiose. Allo stesso tempo, però, capivo che gli stessi eventi della vita, come la nascita dei miei figli, che per le aziende erano in conflitto con le dinamiche lavorative, stavano formando proprio quelle competenze – come la gestione della crisi, l’empatia, la gestione del tempo – che loro si aspettavano che venissero potenziate in aula.

Ho letto numerose ricerche scientifiche e interviste che, man mano confermavano le mie ipotesi iniziali: la vita è una preziosa palestra di competenze soft.

Da queste premesse ho creato MAAM (acronimo di Maternity as a Master) che, negli anni, si è evoluto: dal metodo di apprendimento raccontato nel libro scritto insieme ad Andrea Vitullo, al corso online per le aziende rivolto alle neo-mamme e, dopo poco, esteso anche ai neo-papà. Dopo anni di ricerche, sappiamo che tutte le intense transizioni di vita sono delle vere e proprie palestre di soft skill: ecco perché dal 2015 esiste Lifeed, la piattaforma integrata che oggi offre percorsi formativi differenziati (digitali e “life based”) a tutte le tipologie di caregiver familiari e a tutti coloro che stanno affrontando delle intense transizioni di vita. L’epidemia Covid-19 è una di queste. Noi aiutiamo le persone a coglierne il potenziale in termini di efficacia lavorativa, produttività, benessere e le aziende guadagnano anche un migliore engagement delle persone.

Ad oggi abbiamo formato oltre 10.000 persone in 80 aziende che hanno potuto toccare con mano l’efficacia di questo metodo formativo unico al mondo. La mia azienda è cresciuta in soli due anni da 5 dipendenti a 40 collaboratori, in Italia, UK e Benelux e una rete di partner selezionati con cui stiamo crescendo all’estero.

 

D: Lifeed, precedentemente noto come MAAM, è un caso di grande successo. Ce ne vuoi parlare un po’ per “ispirare” i nostri lettori?

Lifeed è un’azienda digitale che oggi sta per uscire dallo status di startup e, dopo 5 anni, diventa una PMI innovativa. Un traguardo importante che segna per noi una nuova fase di sviluppo. Abbiamo lavorato in questi anni con due obiettivi importanti: dimostrare che la formazione “Life Based” è più efficace di quella tradizionale, oltre ad essere fortemente ecologica (poiché sfrutta “ciò che c’è”), e arricchire la nostra offerta formativa attraverso la ricerca, fatta sia con università che strumenti di Intelligenza Artificiale.

Le basi scientifiche del nostro metodo offrono a coloro che partecipano ai nostri percorsi scoperte, intuizioni, nuove consapevolezze, aiutandoli a spostare lo sguardo, aprendo una finestra inedita sulla loro quotidianità.

Faccio qualche esempio per “ispirare” i lettori, come mi hai chiesto.

Pensiamo alla maternità e alla paternità che rappresentano uno dei più grandi e significativi cambiamenti di vita. Qualunque sia il nostro ruolo in azienda, con Lifeed insegniamo che quello che apprendiamo quando la nostra vita cambia può essere messo a frutto anche sul lavoro, così come ciò che sappiamo fare come professionisti può essere utile in ambito privato. Il modello di leadership, di gestione del conflitto, persino quello della gestione del proprio tempo (e, di conseguenza, la produttività) possono cambiare positivamente, se le persone vengono guidate a riconoscere le abilità che una transizione porta con sé.

La crisi che il Covid ha generato è un’altra transizione. Come spiega Pier Giovanni Bresciani, uno dei massimi esperti di transizioni in Italia e membro del nostro Comitato Scientifico, “le persone che attraversano una transizione possono uscire più deboli o molto più forti: dipende da come la attraversano”. Cambiando punto di vista, e guardando le persone nelle loro molteplici identità, inclusa quella di lavoratori, è chiaro come il modo in cui le transizioni vengono “attraversate” o elaborate, può avere effetti positivi anche nelle aziende per cui lavorano.

 

D: Donne e mondo del lavoro: a che punto siamo in Italia?

La situazione è chiara: nel 2019, 37.000 madri hanno lasciato il proprio lavoro “per scelta”. Per il 53%, la principale motivazione che ha portato alle dimissioni volontarie è legata all’impossibilità di conciliare lavoro e cura del bambino, il 27% indica l’assenza di parenti a supporto.

Le donne, in quanto principali caregiver, hanno ereditato un modello sociale ed economico che le vede come sussidiarie. Sussidiarie in modo indispensabile alla sostenibilità del sistema. L’aspetto interessante delle minoranze – sì, nonostante siano oltre il 50% della popolazione, le donne sono una minoranza – è che la loro condizione fa da bussola per lo stato di salute dell’intera società. Se alcune condizioni non “calzano” alle minoranze significa che sono inadeguate per tutti. Il fatto che il mondo del lavoro tenda a estromettere le madri e a non far crescere le donne è il segnale di una debolezza del modello, incapace di evolversi e innovare. Il lavoro perfetto per le donne è il lavoro perfetto per il presente e per il futuro di tutti i lavoratori: un lavoro che ancora non c’è, a discapito di tutti.

 

D: Tu stai sperimentando in azienda il fractional executive, modello introdotto in Italia da YOUR group. Che ne pensi e ritieni che possa anche favorire il work-life balance per i manager che si occupano della famiglia?

Secondo l’economista Lynda Gratton nel suo libro più famoso, “Il salto. Reinventarsi un lavoro al tempo della crisi”, presto dovremo concepirci tutti come liberi professionisti dallo spirito imprenditoriale, in grado di metter su una “portfolio career”.

Un top manager in modalità “fractional” è una soluzione che, per aziende come la mia, permette di disporre di competenze di alto profilo con costi accessibili rispetto a un incarico full time. Nel nostro caso, abbiamo avuto per due anni un CFO con un livello di esperienza da grande azienda che, pur lavorando con noi part time, lo ha fatto con la passione di un socio e ha fatto la differenza per la nostra crescita.