Buongiorno Cetti, grazie di aver accettato la mia intervista: ci vuoi raccontare un po’ della tua interessante esperienza professionale e in particolare quella in Intoo, leader dell’outplacement in Italia?

Sono stata 23 anni in Nielsen, un’esperienza che ho amato e mi ha dato molto, in termini professionali e umani. In seguito fui chiamata da Gi-Group per la posizione di General Manager per la società di Outplacement del gruppo. La proposta mi ha subito affascinato: la possibilità a 48 anni di fare una nuova esperienza lavorativa in un settore come quello delle risorse umane, e su una società che ha uno scopo di forte valenza sociale, è stata una sfida irresistibile.
Molto ha giocato anche la figura del fondatore di Gi-Group: un grande imprenditore che da zero ha creato una società che oggi vale circa 3 miliardi di euro presente in 40 nazioni. Il core business del gruppo, la somministrazione, consente flessibilità alle aziende, allora era importante, oggi ancora di più. In Italia il lavoratore somministrato è molto tutelato e il gruppo interpreta questa mission con tanta qualità, coprendo poi tutto il range dei servizi per le risorse umane, sempre con verticali di eccellenza. La sfida era davvero interessante: rafforzare e aumentare la leadership della società in un panorama complesso, dove né sindacati, né confindustria caldeggiavano l’uso dello strumento e le persone conoscevano poco il servizio.
Tutto questo mi ha convinto a entrare in Gi-Group e a prendere la guida di Intoo. Il vantaggio per me è stato di arrivare da una Industry completamente diversa e dunque non esitare a intraprendere strade diverse. Questo innestato su una società solida, con un team di grande qualità: Intoo anno dopo anno ha scalato il mercato. Da un iniziale 34% di quota del 2011 al quasi 50% di oggi. Il poter essere in grado di accompagnare ogni anno migliaia di persone verso una nuova posizione lavorativa è di grande soddisfazione per me. Perseguire l’evoluzione costante delle persone, credendo nel potenziale di ogni individuo è una magia che si ripete. Un esempio che ri-conferma la validità del nostro modello l’abbiamo avuta durante il lockdown. Le società di ricerca e selezione erano quasi ferme, noi abbiamo continuato a ricollocare centinaia di professionisti.

 

Sicuramente l’attuale crisi impatterà sul mondo del lavoro. Secondo te quali saranno le conseguenza più immediate e quelle più a lungo termine in particolare sul mondo dei manager?

Io spero che cada il divieto dei licenziamenti. Questo blocco sta sfruttando in modo improprio le risorse finanziarie delle aziende. Dovevano essere 60 giorni di “emergenza”, ora si parla di continuare fino a fine anno.
Questa situazione implica una immobilizzazione di risorse finanziarie per molte aziende, in un momento in cui la liquidità è fondamentale per ripartire. Una scelta governativa del genere rischia di far chiudere molte aziende, che solo potendo rinunciare a qualche persona potrebbero farcela.
Io sono perché il mercato si auto regolamenti, lasciando libere le aziende di definire la loro strategia e le loro risorse umane. Adesso è il momento di rafforzare le politiche attive: le persone devono fluire da un lavoro all’altro, non rimanere bloccate nel lavoro attuale, che potrebbe anche non esserci più. Perdere il lavoro non deve più fare paura, perché la persona sa che sarà supportata a rientrare nel mercato,
Con l’arrivo di importanti risorse Europee abbiamo la possibilità di migliorare la nostra offerta, diventare più competitivi come sistema produttivo e rilanciare l’intera economia.  Spero non si perda l’occasione, spendendo cifre esorbitanti per alimentare solo le politiche passive .Maggiore sarà la flessibilità e l’agilità delle aziende maggiore sarà la loro capacità di recupero. Dobbiamo potenziare la formazione sulle skills che servono per passare da un settore all’altro, dai settori fermi a quelli in movimento che chiedono personale, cosa che sanno fare bene negli Stati Uniti.I manager soprattutto devono essere molto attenti alle loro competenze, devono continuamente mapparle e verificarle in relazione alla evoluzione del loro ruolo, devono conoscere bene in grandi trend, non solo della loro Industry. Oggi nessuno può permettersi di non conoscere il cloud, l’ Internet of thing se i basics delle tematiche finanziarie. Esistono tematiche trasversali che devono ormai far parte del patrimonio culturale di ogni manager. L’essere informati, in modo proattivo, l’essere curiosi, il continuare a ricercare informazioni, dati è vitale. Nessun manager può semplicemente “sedersi” e aspettarsi formazione da parte dell’azienda. Oggi, anche grazie a internet, si possono acquisire informazioni di qualunque settore e area industriale. Un valore inestimabile a disposizione, gratis, per tutti.

 

Che consigli ti senti di dare ad un manager in una fase di transizione di carriera?

Prima di tutto non lasciarsi andare a perdita di fiducia e scoramento. Siamo in un’epoca di grande cambiamento, inutile negarlo. Vi saranno sicuramente perdite di posti di lavoro, eppure assistiamo anche ad un a accelerazione di molti nuovi trend. Io incoraggio sempre ad essere aperti alle nuove possibilità. Avere un approccio chiuso, impossibilista, è rischioso, quasi professionalmente letale. Non va “tutto male”, molti settori continuano a crescere. Non nascondo comunque il fattore età. Se si sono superati i 55 anni considero improbabile che si possa rientrare in azienda da dirigente, a meno di non essere aperti all’estero o avere una forte specializzazione. I manager devono comprendere che superata una certa età si deve rivalutare la propria posizione e il ruolo in una nuova azienda in modo dinamico. È importante, per un manager, staccarsi dal concetto di managerialità e dirigenza “standard”, ma privilegiare il contenuto del progetto. In questo senso vedo molto positivamente le nuove forme manageriali come quella del Fractional Executive. Un manager oggi deve far tesoro della sua esperienza pregressa e comprendere come essere una valida risorsa per un azienda, invece di guardare alla sola forma contrattuale. Una soluzione di fractional, per esempio, permette a una media impresa di abbattere i costi beneficiando del contributo di una risorsa esperta che in più farà circolare le idee viste altrove. Altro consiglio spassionato è quello di dedicarsi al proprio posizionamento e web identity: per ritrovare lavoro o nuovi clienti il presidio dei social è ormai fondamentale. Limitarsi a rispondere agli annunci di lavoro o mandare centinaia di cv in giro ormai è desueto. Interagire in particolare su linkedIn è utile per poter dimostrare le proprie competenze e i propri valori, esprimere opinioni, farsi conoscere nel proprio stile manageriale. La prima selezione si passa sui social.  Anche coltivare il networking nel mondo fisico è importante. Idealmente si dovrebbe mantenere una attività di networking e personal branding sia digitale che fisico. Ovviamente è un attività impegnativa, ma ormai fondamentale.
Un ultimo aspetto è il concetto di fare parte di community. È importante associarsi a aziende o gruppi dove si scambiano informazioni, si interagisce, e si crea sistema. Fondamentale oggi farsi supportare da società specializzate in transizione di carriera, si dimezzano i tempi di rientro nel mercato del lavoro, si può capire la potenzialità di strade alternative, si fa il punto su sé stessi, sulle proprie aree di forza che incontrano il mercato.

 

Come sai YOURgroup ha introdotto in Italia il concetto di Fractional Executive, che potrebbe essere una modalità per creare un nuovo grande mercato della managerialità nel nostro Paese. A tuo parere quali sono i principali ostacoli alla sua completa affermazione?

Il più grande ostacolo che vedo per l’affermarsi del Fractional Executive è la non conoscenza dello strumento. In questi anni questa nuova forma di managerialità è cresciuta molto, tuttavia molti manager e imprenditori ancora faticano a coglierne a pieno tutti i vantaggi. Trovo quindi importante che i media ne parlino maggiormente.
Io penso ai vantaggi dal lato manager e dal lato azienda. Un professionista che opera in modo frazionale su, poniamo, 3 aziende, è un asset incredibile per le aziende e per se stesso. Per se stesso si pone in una situazione di rete: se una delle aziende dovesse cessare il contratto, le altre due aziende compensano finché non arriva nuovamente un terzo contratto. Operare su più fronti mantiene veloci, si deve stare al passo, stare aggiornati. La continua formazione è ormai un tratto vitale da cui nessun professionista può chiamarsi fuori. Una mix di formazione tramite soluzioni internet e attività sul campo permette a qualunque manager di mantenersi sempre appetibile e utile per ogni azienda. Per le aziende avere un manager dinamico che opera su più contesti permette la circolazione delle idee, delle tecnologie, delle esperienze. Molto impattante in termini di energia.
Una immensa differenza rispetto al temporary dove il manager, di fatto, lavora con una singola azienda per un periodo di tempo. Terminata quella esperienza il manager dovrà ripartire da zero e deve essere stato bravo a tenersi collegato con la sua rete nel periodo che ha lavorato, altrimenti l’intervallo di tempo fra un incarico e l’altro andrà ad allungarsi. Il ruolo del fractional quindi diventa una soluzione winwin per l’imprenditore/impresa e per il manager.
Sul fronte governativo normativo a mio avviso il legislatore dovrebbe incoraggiare molto di più queste forme contrattuali. La scelta di “bloccare” i manager in forme contrattuali quando un’azienda non può permetterselo (come succede oggi) è perdente. Lo stato invece dovrebbe vagliare l’opportunità di definire incentivi fiscali o finanziari per spingere il modello fractional, come dovrebbe spingere molto di più la creazione di impresa: va capovolto il paradigma occupazionale. Obiettivo deve essere che l’ammortizzatore passivo duri meno possibile, perché persone incentivate a essere proattive circolano velocemente da una posizione all’altra, da un settore all’altro.