D: Grazie Pasquale per averci concesso questa intervista: ci vuoi raccontare un po’ della tua straordinaria esperienza professionale per “ispirare” i nostri lettori e parlarci del percorso che ti ha portato a ricoprire il ruolo di Managing Partner di EXS Italia?
Cervello, cuore e curiosità (oltre ad un pizzico di fortuna). Per unire i puntini del mio percorso, che parte da una laurea in Matematica Applicata e arriva alla valutazione della leadership, è necessario tenere in considerazione questo framework a 3C e la sliding door che mi ha portato dove sono oggi. Durante un progetto di consulenza, occupandomi con i colleghi di ridisegnare la struttura organizzativa post acquisizione di una grande multinazionale, pur avendo disegnato la migliore struttura possibile in coerenza con gli obiettivi strategici e i valori aziendali, mi sono reso conto che la “macchina” non girava. Nel riadattare la struttura e i processi, dentro di me si è innescato un interrogativo a cui ho cercato di dare risposta per anni: “Dobbiamo scegliere il modello organizzativo migliore per gli obiettivi e le persone si devono adeguare alla nuova organizzazione, oppure, avendo le persone giuste, costruiamo l’organizzazione che meglio si adatta alle loro caratteristiche?”. Ho iniziato a cercare una risposta nei libri, ad approfondire i comportamenti delle persone e in che modo siano guidati dalle emozioni, nonché in che modo il cervello e le sue componenti generino le emozioni stesse. Tutto questo mi ha portato ad essere oggi un esperto di leadership e neuroscienze applicate alla leadership e ai comportamenti.
Sono un instancabile appassionato e curioso, entusiasta di conoscere e apprendere. Grazie a questo, ma anche alla mia determinazione, sono arrivato dove sono oggi ma per me questo è solo un nuovo punto di partenza per migliorarmi come persona e come manager.
D: Ho sempre apprezzato le tue capacità di analisi acuta dei fenomeni aziendali e manageriali: ci dai due spunti di riflessione per il mondo del lavoro in Italia nei prossimi anni?
Oggi ritengo che ci siano due trend destinati a prendere sempre più corpo nei prossimi mesi. Il primo riguarda le organizzazioni che stanno prendendo consapevolezza delle capacità umane presenti al loro interno e non ancora sfruttate appieno. Più o meno inconsciamente, le organizzazioni tenderanno a basarsi sempre di più su degli “Human Centric Principles” per valorizzare questo potenziale: intendo quindi meritocrazia (quella vera), empowerment (fattivo e non proclamato), community, exploration e ownership.
Il secondo trend riguarda gli individui che, a causa di forze esterne (Machine Learning, AI, frequenza-ampiezza-velocità dei cambiamenti), sono chiamati a cambiare, sviluppando il proprio patrimonio sinaptico. Le persone dovranno sviluppare una velocità di ragionamento e apprendimento superiore a quella odierna. Pensare di rimanere competitivi domani senza sviluppare le proprie capacità cognitive sarebbe follia!
Il combinato non lineare di queste due forze richiederà un nuovo stile di leadership, oltre ad una nuova metrica più oggettiva per la misurazione delle performance manageriali.
D: Smart working: a mio parere una grande opportunità da cogliere per le PMI. Pensi che ce la faranno?
Se parliamo di smart, e non di remote su cui aprirei una parentesi a parte, parliamo sicuramente di un’opportunità da cogliere. La probabilità di successo per le PMI, a mio parere, dipende da due variabili:
- Il livello di digitalizzazione aziendale
- Il livello di smartness dei suoi leader e dei manager
La pandemia che ci ha travolto ha sicuramento creato le condizioni per fare un salto, aggiungerei obbligatorio, sulla prima variabile e probabilmente ha anche favorito una maggiore consapevolezza sulle alternative dei modi di lavorare (non ancora sulla smartness).
Se le PMI saranno dei follower dei nuovi sistemi e modelli di leadership che le grandi aziende adotteranno, con buona probabilità posso sostenere che nel corso dei prossimi 24 mesi (non prima di 12) ci sarà un sostanziale cambiamento verso una modalità smart di lavorare. Con questo intendo, per esempio, l’implementazione di nuove abitudini capaci di impattare in maniera significativa sulle performance. Circa un anno fa, davanti a situazioni di impasse di alcuni progetti, suggerivo al mio team di lavorare almeno una giornata a settimana in un ambiente estraneo, affiancati da un collega con cui non avevano mai lavorato. Il risultato? Maggiore energia, senso di libertà e ownership, maggiore coesione interna e soprattutto nuove idee creative per superare l’impasse.
D: Mi colpì una volta che dicesti che il Fractional Executive ha possibilità di svilupparsi anche per le aziende più grandi. Vuoi ricordare ai nostri lettori qual è la tua visione in proposito?
In un mondo e un mercato sempre più variabile, imprevedibile e soprattutto open, il Fractional Executive risulterà la scelta più efficace ed efficiente, oltre che smart, poichè consentirà di attingere a competenze tecniche specializzate non presenti in azienda e con il giusto modello comportamentale-valoriale per contaminare un team poco performante.
Penso che per accompagnare questa evoluzione, nel medio periodo, il Fractional Manager dovrà investire su sé stesso e sulla sua formazione per essere sempre employable.