Alessandro Rimassa, oggi fondatore di Changers ed esperto di future of work, ha co-fondato la Talent Garden Innovation School, scritto sette libri e aiutato grandi imprese tra sviluppo di education e digital transformation.

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D: Grazie Alessandro per averci concesso questa intervista: ci vuoi raccontare un po’ della tua straordinaria, ampia e poliedrica esperienza professionale, per “ispirare” i nostri lettori?

Felicità, impatto e digital transformation: sono questi i tre driver che mi guidano nella mia quotidianità lavorativa, un tempo da consulente e manager, oggi da imprenditore e board member.
Credo nell’importanza di divertirsi in ciò che si fa, nel riuscire ad aiutare altre persone tramite i prodotti e servizi che si creano e nell’importanza di mettere la trasformazione digitale, che è un mix tra business e people transformation: ormai da molti anni concentro i miei sforzi sul mondo dell’education, prima come direttore in IED, poi come imprenditore co-fondatore della Talent Garden Innovation School, oggi come consulente di grandi imprese nella creazione di nuove sfide in campo education e con lo sviluppo di Changers.

D: Raccontaci meglio di Changers: come si differenzia dalle altre esperienze di scuole di formazione? 

Changers è la prima scuola italiana dedicata a persone e aziende che ha un focus sulla crescita professionale. Sono in tanti a dedicarsi a crescita personale o leadership, quello che stiamo costruendo in Changers è un approccio nuovo al vasto mondo delle soft skills. Se con la Innovation School ho costruito una scuola, che oggi è un successo sia in Italia si all’estero, verticale sulle competenze digitali, con Changers intervengo invece sulle dimensioni di relazione, comunicazione e produttività, per aiutare le persone e le aziende a funzionare meglio, collegando i concetti di felicità e produttività a vantaggio di tutti.
In un’epoca in cui dobbiamo reinventare il nostro lavoro ogni tre anni, è fondamentale sviluppare le competenze soft, le uniche in grado di permettere alle persone e alle aziende di rimanere competitive.

D: Sei un grande esperto di tematiche di formazione: quali sono i trend che vedi in questo settore così fondamentale per il futuro del nostro Paese?

Oggi stiamo finalmente affrontando la sfida della trasformazione digitale della formazione in maniera nuova: i MOOC, cioè i corsi online che si sono diffusi negli ultimi dieci anni, non hanno fatto altro che replicare il modello in classe nell’online. E non hanno funzionato.

I trend che si stanno sviluppando oggi, e permettono una vera digital transformation dell’education, sono tre:

  1. Learning in the flow of life: cioè offrire un piccolo byte di formazione da “utilizzare” in maniera fast e quotidiana, con podcast, video o testi fruibili in pochi minuti, ogni giorno, nel formato che meglio si addice a ognuno di noi.
  2. Per-corsi di allenamento: intendere la formazione come un allenamento sportivo, fatto di microlezioni continue e di esercizi pratici che permettono di mettere in pratica quanto appreso. Cambia il peso tra lezione ed esercizio, diminuendo il tempo di ascolto, passivo, e aumentando sempre più quello di azione, attivo.
  3. 20/80. È la nuova percentuale tra in presenza e digitale: la formazione aziendale e quella di lifelong learning si sposta su un massimo del 20% in presenza o in modo sincrono online e l’80% che diventa on demand digitale. Questo permetterà di offrire una formazione realmente continua, non limitando più il momento in cui ci formiamo a poche ore o giornate durante l’anno, ma trasformandola in una pratica quotidiana di pochi minuti.

D: È da poco uscito il tuo libro: “Company Culture: Il sistema operativo che fa crescere le aziende”. Ce ne vuoi parlare?

È il mio settimo libro ed è dedicato a CEO, C-Level ed HR che credono, realmente, nella necessità di trasformare la propria impresa: non ho nulla contro i sistemi operativi che hanno fino a oggi regolato le. Nostre imprese, ma nel tempo della Quarta Rivoluzione Industriale, della digital transformation e del Covid non possiamo rimanere bloccati tra procedure rigide, regole immutabili e burocrazia interna che fa delle aziende una palude. Abbiamo bisogno di dare alle nostre persone un set di valori e indicazioni che permettano loro, a partire da un purpose e basandosi su fiducia, trasparenza e sperimentazione continua, di dare la giusta direzione alle proprie azioni per permettere all’azienda di trasformarsi e affrontare le diverse sfide che ogni giorni si incontrano.
Su www.companyculture.it ho messo a disposizione un framework, il Company Culture Canvas, che permette di trasformare in un nuovo modello operativo ciò che si legge nel libro, che contiene gli interventi di oltre 80 esperti italiani di HR e futuro del lavoro e le storie di un centinaio di aziende del nostro Paese.

D: A proposito di Company Culture, il tema del management, in particolare per le aziende familiari, è un punto su cui da anni si dibatte, in ottica di sviluppo del nostro sistema imprenditoriale. Cosa ne pensi del modello del Fractional Executive promosso in questi anni da YOURgroup?

Il tema delle competenze è “il” tema: pensare di gestire aziende che vogliono giocare in un campo globale con skills limitate è insensato, perché sai di perdere in partenza. In questo senso il modello fractional va incontro a flessibilità e scalabilità dei business, perché è plug and play e permette, con un investimento contenuto, di portare in casa professionisti di altissimo spessore.

Io credo davvero che il futuro sia del Made in Italy, ma le nostre PMI hanno bisogno di competenze, aggregazione e managerializzazione: solo così possiamo competere a livello globale.