Paola Francesca Scarpa
Managing Director – Client Solution, Data & Insights – Google
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D: Hai avuto una vita professionale ricchissima, con incarichi di grande prestigio, in campi anche diversi. Quali qualità ti hanno permesso di raggiungere questi importanti traguardi?
Se guardo al mio percorso professionale, consulenza strategica, telecomunicazioni e digitale ritrovo alcuni elementi che sono rimasti invariati: lavorare in contesti innovativi, creare un clima di fiducia con la squadra e dare a se stessi ed al team obiettivi sfidanti.
Sara’ perche’ sono ingegnere, ma mi ha sempre affascinato la tecnologia. Trent’anni fa l’innovazione era fatta dalle aziende delle telecomunicazioni, che ho seguito come consulente in Monitor Company e poi come manager di azienda (Omnitel, diventata poi Vodafone). L’onda di innovazione successiva alle telco e’ stata il digitale e Google, che in Italia era ancora piccola, rappresentava per me l’innovazione ed i valori che oramai sapevo essere imprescindibili dal mio modo di lavorare. In primis la creazione di un clima di fiducia all’interno di un gioco di squadra. Se si crea fiducia le persone riescono a dare il massimo perché sentono che possono sbagliare ma non verrà a mancare il trust reciproco.
E questo e’ chiave in un contesto dove gli obiettivi possono (e devono) essere molto sfidanti. Sono questi che permettono il pensiero laterale, l’attivazione della creativita’ per raggiungere risultati che non sono mai scontati. E proprio per questo e’ importante la fiducia descritta prima – piu’ gli obiettivi sono ambiziosi e piu’ si puo’ sbagliare. Solo se si e’ creato un clima di fiducia ci si rialza e si impara dagli errori, altrimenti rimane un duro colpo con il rischio che i talenti che hai in squadra abbandonino in cerca di un contesto meno sfidante. Una perdita per loro e per l’azienda
D: Il mondo dei contenuti è molto ampliato in questi anni: dalla tv, a internet, i social media e tra un po’ avremo il metaverso (anzi i metaversi). Come percepisci le prossime evoluzioni di questo scenario?
Penso sia importante partire dal consumatore finale e da come prende le decisioni di acquisto. Il percorso non e’ piu’ lineare, con numerosi touchpoint fisici e digitali che influenzano fortemente la decisione finale. Durante la pandemia il fenomeno si e’ acutizzato dando maggior spazio ai canali digitali restituendoci un consumatore multicanale, che vuole avere una esperienza di acquisto on line e off line disegnata sui suoi bisogni.
Mi aspetto una proliferazione di contenuti e di modalita’ di accesso degli stessi, grazie alla tecnologia che permette l’automazione di tante attivita’ di comunicazione che prima richiedevano tempo e ore uomo. Questo e’ il nuovo contesto in cui le aziende si trovano ad operare, con un consumatore che e’ molto meno fedele e che si informa con grande attenzione da diverse fonti, chiedendo ai brand non piu’ solo la soddisfazione di un bisogno ad un prezzo soddisfacente, ma oggi piu’ che mai ricerca anche dei valori in cui riconoscersi.
D: La discontinuità è un aspetto costante del contesto economico ed aziendale. A tuo avviso come l’industria digitale può adattarsi e supportare l’evoluzione d’imprese e imprenditori italiani?
Se partiamo dal consumatore, e’ evidente che le aziende hanno una sfida non banale – abbattere i silos aziendali, creare una esperienza di acquisto multicanale (fisico e di e-commerce) e una modalita’ di interazione con i clienti che deve tenere in conto tutti i touchpoint che usa il cliente finale.
A partire dallo smartphone, dove oramai si concentrano l’85% delle ricerche su web, eppure i siti delle aziende sono spesso lenti (la velocita’ si misura in 0.1 secondi – per dare una idea un miglioramento di un solo 0.1 secondo porta a +8% di conversioni di un retailer o +22% nella generazione di lead). A questo si aggiunge un contesto dove i dati di prima parte avranno un ruolo focale per il successo delle aziende, e ne uscira’ vincente chi sapra’ raccoglierli, analizzarli ed usarli al meglio per personalizzare l’offerta e la comunicazione con i propri clienti.
La comunicazione non e’ piu’ lineare ed ai media tradizionali vanno affiancati i media digitali per poter raggiungere tutti i consumatori con attenzione alla efficacia ed efficienza degli investimenti media. Gia’ oggi in Italia il 50% della video watchtime non e’ lineare ed e’ cross screen, ovvero smartphone, tablet, ma sempre piu’ anche Connected TV ovvero lo schermo di casa collegato a Internet dove accedere a contenuti digitali.
La vera sfida, per le aziende italiane, non e’ la tecnologia. Quella e’ ora disponibile, a costi sempre piu’ bassi, con alti livelli di automazione. Lo snodo focale e’ di cambio di mindset, di accettare che per seguire questo nuovo cliente e’ necessario dismettere dei processi in essere da molti anni ed abbracciarne di nuovi. Qui e’ dove vedo la maggior difficolta’ dei managers, che pur essendo consci del nuovo scenario in cui vivono in prima persona, hanno difficolta’ a modificare l’azienda nella stessa direzione.
Il CEO piu’ illuminato del mondo da solo non puo’ farlo – e’ necessario un progetto di squadra, che sia condiviso con tutte le persone dell’azienda e richiede quindi tanta comunicazione, coaching e forte leadership innovativa. Le aziende digitali possono essere dei grandi partners in questo contesto di trasformazione.
D: Il mondo della pubblicità è in rapida crescita. Egualmente le sfide per le aziende si moltiplicano. Quali scenari di crescita vedi per il settore pubblicitario digitale?
Il settore pubblicitario digitale sta attraversando la sua terza era evolutiva. Siamo passati dall’era del broadcasting – uno solo messaggio uguale per tutti, all’era del precision marketing – creazione di audiences, personas per targetizzare i messaggi, per arrivare dove siamo oggi, nell’era del predictive marketing, ove grazie al machine learning possiamo modellare i comportamenti dei consumatori anche in mancanza di alcuni dati.
In un modello sempre piu’ automatizzato la sfida del settore digitale e delle aziende nostre clienti e’ di settare correttamente i KPI delle campagne, spostandosi da obiettivi di “last click” a obiettivi di “profittabilita’, valore” per poter cogliere tutto il valore che arriva dal digitale che non nasce e muore solo su canali digitali ma influenza anche gli acquisti off line.
Le macchine sono intelligenti ma per nostra fortuna l’uomo rimane al centro nel dare chiare indicazioni sull’obiettivo da raggiungere. E anche in questo caso, un concetto che sembra ovvio si scontra con i silos aziendali perche’ chi lavora sul digitale opera con KPI digitali mentre andrebbe coinvolto anche il CFO dell’azienda, il CEO per declinare al meglio i KPI che rappresentino gli obiettivi ultimi dell’azienda. Da questo punto in poi, la comunicazione digitale sara’ il miglior alleato della profittabilita’ dell’azienda e non potra’ che crescere.
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