Nino Lo Bianco – Presidente BIP
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D: Grazie per avere accettato questa intervista. Quali sono le esperienze che ti hanno permesso di raggiungere i tuoi straordinari risultati professionali?
Credo che la spiegazione sia dovuta alla costanza e focus rimasti immutati nel tempo. Ho iniziato la mia carriera nella consulenza quando eravamo meno di 100 in Italia; oggi siamo in 3.300. È una professione, la mia, che ho visto crescere dall’esordio. Nata negli Usa nel 1860, ho cominciato a praticarla a partire dal 1° settembre 1970. Quando arrivai a Milano da Palermo avevo due lettere di assunzione in tasca: una era della americana McKinsey, l’altra di Gea (allora la più grande agenzia di consulenza italiana). Siccome avevo fatto politica attiva, ed ero europeista, volevo creare una via non anglosassone alla gestione manageriale e scelsi Gea. Nel ‘73 ho fondato Telos Management Consultans, successivamente acquisita da Deloitte Consulting Italia, di cui sono stato CEO, quindi CEO europeo ed anche Senior Global Partner, partecipando alla strategia di pianificazione mondiale del network.
In seguito all’entrata in vigore della legge Sarbanes–Oxley, le cose sono cambiate, ho lasciato Deloitte e co-fondato BIP. Oggi siamo una realtà con cuore italiano e un modus operandi paragonabile alle altre grandi realtà anglosassoni, ma con una visione europea che fa la differenza. Siamo presenti in 13 paesi, in 4 con oltre 300 professionisti. Siamo al 38° posto nella classifica internazionale del nostro settore industriale. Tuttavia, se escludiamo le multinazionali prettamente informatiche e consideriamo le sole realtà di consulenza gestionale, la nostra posizione in classifica sale.
Come crescita personale ho sempre evitato di divenire responsabile di un’azienda o di accettare incarichi dirigenziali in aziende clienti, come invece spesso è successo ad altri consulenti che hanno preferito abbandonare la professione per proseguire la carriera in azienda.
Oggi il mondo della consulenza sta mutando rapidamente. Il digitale ha cambiato le regole del gioco della nostra industria. L’orizzontalità creata dalla rete permette una competizione equa tra realtà anglo americane e la nostra. Oggi i professionisti italiani sono riconosciuti come innovatori, non solo nei settori canonici come il cibo, la moda il design, ma anche in quelli più avanzati e ad alta intensità tecnologica. Grazie alla rete la competizione oggi è basata su contenuti, competenza e qualità.
D: Secondo te quale differenza esiste tra le aziende che hanno affrontato il cambiamento e quelle che ancora restano ancorate al ‘leit motiv’ “abbiamo sempre fatto così”?
Quelli che dicono “ci rimettiamo in moto come prima” sono destinati a scomparire, questione di tempo. Il mondo non tornerà più come prima. Non mi riferisco solo allo smartworking: il digitale ha cambiato le regole della competizione. Chi non ha un’organizzazione flessibile, digitale capace di relazionarsi con il mondo, è destinato a estinguersi. Questo assioma vale tanto per le grandi aziende che per le piccole. Ad esempio, se oggi produco 2000 bottiglie di vino, e ho accesso al mercato digitale, posso venderne 10 a Lima, 10 a Xian e via così. Diversamente, sono costretto a venderlo ai vicini di casa e rischiare che mi resti in magazzino. L’evoluzione della catena del valore e della produzione sono di fronte a noi. Prima del Covid i cambiamenti avvenivano con crescita del 2-3% su base annua. Oggi parliamo di un mutamento del 10% e oltre. Il caso Gamestop è indicativo. Nato in rete, con una matrice totalmente digitale ha spostato miliardi in pochi giorni. BIP, grazie alla competenza digitale specifica creata in questo ultimo decennio, è cresciuta del 10% anche quest’anno, un anno difficile per il nostro settore e in generale per tutte le industrie.
D: Covid e crisi associata in che modo stanno modificando i paradigmi di lavoro e quali mutamenti diventeranno trend (pensiamo allo smartworking, per esempio)?
Lo smartworking è un termine abusato e inflazionato, persino millantato. Spesso, infatti, si tratta di semplice lavoro da remoto. Malgrado i grandi proclami, spesso gli utilizzatori non hanno potuto godere di infrastrutture e condizioni di lavoro adeguate ed efficienti e non è stata un’esperienza sempre positiva. Lavorare da casa, con le zoom call e i bambini che ti passano alle spalle, il cane che abbaia, i vicini che fanno rumore… le case non erano attrezzate, molti dei nostri giovani non erano strutturati. Ci siamo attivati tempestivamente ed abbiamo reso confortevole l’esperienza di lavoro agile per i nostri colleghi. Abbiamo fornito sedute comode ed ergonomiche, stampanti, sistemi di insonorizzazione, schermi e tastiere per rendere la postazione più efficiente, evitando di far lavorare in modo scomodo.
Il futuro del lavoro ad ogni modo cambierà. Noi in questi mesi abbiamo dismesso il 50% dei nostri uffici, per un totale di circa il 40% dei mq che occupavamo nel 2019. La nuova sede a cui stiamo lavorando sarà praticamente senza scrivanie: un luogo di incontro, con attrezzature audio video, per essere costantemente collegati con i nostri colleghi all’estero o nelle sedi decentrate. Per avere in tempo reale e permanente accesso gli uni agli altri.
La sede di San Babila resterà il nostro centro di comando e controllo, mentre stiamo pensando a strutturare uffici satelliti più vicini ai nostri colleghi. Pertanto credo che in futuro passeremo 60% del tempo lavorativo in ufficio o dal cliente, mentre il restante 40% in remoto da casa.
Ovviamente anche gli aspetti economici dello smartworking sono rilevanti, per quanto non siano la nostra priorità. Mediamente per ogni postazione di lavoro spendiamo 4000 euro l’anno, anche pensando di investire nelle postazioni da casa dei nostri colleghi potremo ipotizzare sin dal primo anno un notevole risparmio rispetto al costo annuale in ufficio.
D: Quali sono gli scenari di digitalizzazione che affronteranno le aziende e la Società?
La certezza non esiste, ma è facile predire che il cambiamento sarà rilevante. Siamo all’inizio di una rivoluzione che richiederà parecchio tempo per esaurire il soddisfacimento delle esigenze che sta facendo nascere. Edifici di uffici di grandi dimensioni, anche costruiti di recente, dovranno essere seriamente rivisitati. Al momento a Milano ci sono 150-200.000 professionisti in meno rispetto all’inizio dello scorso anno. Molti hanno dismesso il loro appartamento in affitto per abitare nelle loro aree di origine o in campagna. Ovviamente il settore dei servizi sarà quello che influirà maggiormente sulle dinamiche della evoluzione futura delle città. Come industria di consulenza noi siamo una realtà fluida: a differenza dell’avvocatura o del notariato, professioni solide, estremamente strutturate, noi, infatti, noi ci adattiamo ad ogni novità con maggior velocità tanto nella nostra attività, quanto nelle soluzioni raccomandate per i nostri clienti. Il cambiamento più spinto, nel settore dei colletti bianchi, sarà quello che registrerà la P.A. In questo settore c’è molto da fare per mutare i paradigmi lavorativi e gli standard di servizio.