Linus

Direttore Editoriale delle radio del Gruppo Gedi

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D: Hai avuto una vita professionale ricchissima, con incarichi di grande prestigio, in campi anche diversi. Quali qualità ti hanno permesso di raggiungere questi importanti traguardi?

Uh, dovresti chiederlo a chi me li ha affidati. Di mio posso dire, in ordine sparso, almeno quattro cose: l’esperienza, l’onestà, la capacità di autocritica e quella di gestire le persone. Ho messo l’esperienza in testa perché ho iniziato ad avere un ruolo manageriale quando facevo questo lavoro già da una quindicina d’anni, e quindi ero tra quelli che lo conoscevano meglio. Poi tutto è venuto di conseguenza: più fai, più accumuli conoscenza, più sei in grado di fare.

L’onestà perché comunque è importante, sia verso l’alto (cioè chi ti paga) che verso il basso (quelli che gestisci). Nel nostro paese spesso l’onestà viene confusa con la debolezza, ma semmai è il contrario: chi si atteggia a duro spesso lo fa per coprire i propri errori. Poi…l’autocritica: chi non sbaglia? Nessuno. Solo che c’è chi rovescia sugli altri i propri errori e chi ne fa tesoro per cercare di crescere. Io ho sempre cercato, provato e sperimentato. Quando sbaglio semplicemente torno indietro e riparto.

Senza navigatore. Per ultimo, ma forse per primo, la capacità di tenere insieme le persone. E’ sempre difficile, in tutte le squadre e in tutte le aziende. Figurarsi quando si ha a che fare con individui egoriferiti come gli artisti…

D: Il mondo dei media è evoluto molto in questi anni: tv, internet, i social media e tra un po’ avremo pure il metaverso (anzi i metaversi). Come percepisci le prossime evoluzioni di questo scenario dal punto di vista di un media eterno come la radio?

Cerco di distinguere quelli che crescono perché il pubblico ne ha bisogno da quelli che vengono imposti per far crescere le aziende. Mi spiego: il dogma principale della società occidentale è creare bisogni che non esistono. E ovviamente guadagnarci. Senza pensare alle ricadute negative, anzi usandole per alimentarne il successo. Non avevamo certo bisogno dei social, e invece ne siamo diventati dipendenti. Specie della parte più oscura, quella che genera contrapposizione e invidia sociale.

Il prossimo passo (forse, chissà, speriamo di no, ma temo di sì) è l’universo parallelo, il metaverso. Nel quale c’è tutto quello che c’è già in quello reale, ma qui ce n’è una forma digitale. La figata sarebbe la certificazione. Ed è partita una campagna impressionante mirata a renderlo “fungible”, cioè reale. Senza esserlo. Un orrore, ma sono sicuro che avrà successo, perché ormai siamo ridotti ad automi omologati. La radio per fortuna è sempre riuscita ad adattarsi e a cavalcarli, non ho dubbi che sarà così anche stavolta. La metaradio!

D: L’evento Covid, tutt’ora in divenire, ha messo sotto pressione tutta la società civile e le aziende. In quanto Ceo di un media leader di mercato come hai affrontato, e stai affrontando, questa crisi a livello aziendale?

Con grande fatica e senso di responsabilità. Verso i dipendenti, innanzitutto, mettendo in atto tutte le misure di precauzione. Verso gli ascoltatori, cercando di assolvere ancora meglio alla nostra missione primaria, che è quella di esserci. Mai come in questo periodo la radio è stata vicina a chi la ascolta, mai come in questo periodo ci siamo sentiti gratificati e orgogliosi dell’affetto che ci è tornato indietro. Però sono stati due anni veramente molto faticosi e difficili. Anche economicamente.

Il mercato pubblicitario purtroppo si è rivelato molto superficiale, e si è limitato alla banale equazione “più gente a casa dal lavoro = meno gente in auto, e quindi meno ascoltatori.” Che era vero per le fasce del drive time, ma al tempo stesso falso in termini assoluti, vista la compensazione di tutto il resto della giornata.

Ma la radio ha superato anche questo.

D: Il mondo della pubblicità è in evoluzione rapida. Egualmente le sfide per le aziende di Media si moltiplicano. La posizione di mercato di Radio Deejay le permette di essere un trend setter: definire la via a cui gli altri competitor devono allinearsi. Quali scenari di crescita vedi per il settore radio?

La strada più interessante è quella del podcast. Pur sapendo che non c’è nulla di automatico e garantito. In questo momento viene vissuto come la pentola alla fine dell’arcobaleno, visti i numeri che fa negli Stati Uniti. Ma non è automatico che li faccia anche in Europa, dove siamo tutti ancora in una fase interlocutoria. Però è interessante, a tendere potrebbe rappresentare quello che Netflix e tutti gli altri siti di streaming sono diventati per la televisione generalista.

Noi abbiamo appena lanciato un nostro servizio e una nostra App che si chiama One Podcast, all’interno c’è tutto lo scibile audio delle testate del gruppo Gedi. E’ un esperimento coraggioso, molto in anticipo per il nostro mercato, ma era importante fare esperienza, soprattutto per l’infrastruttura tecnologica.

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