Fabrizio D’Ascenzo

Preside Facoltà di Economia Sapienza Università di Roma

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D: Hai avuto una vita professionale ricchissima, con incarichi di grande prestigio, in campi anche diversi e non solo strettamente accademici. Quali qualità ti hanno permesso di raggiungere questi importanti traguardi? 

Prima di tutto direi l’ascolto. Una qualità che si lega molto al ruolo che svolgo adesso: implica l’avere rapporto aperto con tutti i colleghi, il fatto di essere sempre stato in Facoltà mi ha aiutato molto. La stessa qualità mi aiuta con gli studenti: capire le loro problematiche. Avendo studiato Economia alla Sapienza mi sono sempre immedesimato nel loro ruolo di giovani che vogliono crescere ed apprendere. Questo è stato di grande aiuto per risolvere le sfide che il mio ruolo implica.

Un’altra qualità che riconosco avere per me un grande valore è la pazienza.

I 2 anni di Covid hanno messo a dura prova la resilienza di un intero sistema scolastico. Come università abbiamo dovuto attivarci velocemente per supportare sia i nostri studenti sia i docenti. Mantenere vivo il contatto tra gli uni e gli altri, utilizzando il media digitale, può apparire facile, a parole. Tuttavia, l’infrastruttura digitale, i software, le dinamiche sociali e psicologiche che abbiamo dovuto affrontare sono stati sfidanti.

Anche la determinazione è una qualità che mi ha sempre contraddistinto. Una skill che è emersa in modo prorompente durante il Covid. Abbiamo dovuto rivedere l’intera struttura di insegnamento, supportare docenti e studenti, come leader della mia struttura ho dovuto procedere, pur con normali incertezze, nel mantenere uno standard di qualità di servizi educativi all’altezza della nostra facoltà. Oggi che i ragazzi possono tornare in aula senza pericolo sono fiero di quello che siamo riusciti a fare come squadra di docenti e come ateneo.

D: L’innovazione digitale è un percorso obbligatorio per le aziende italiane. Come percepisci le prossime evoluzioni di questo fenomeno?

Lo collego al rapporto con le università. In uno dei miei incarichi precedenti ero delegato ai rapporti con le aziende per conto del Rettore. Nel 2010 abbiamo organizzato l’iniziativa Campus Mentis, con la Presidenza del  Consiglio dei Ministri: un’iniziativa di orientamento al lavoro per giovani laureati. Ci siamo trovati ad avere contatti con numerose aziende. Io sono per la collaborazione fattiva. Università e aziende sono due realtà che avrebbero sempre potuto collaborare di più ma lo han fatto poco, sino ad oggi. Ci sono piccole distanze da colmare: il concetto principale è che un’azienda cerca di coltivarsi i suoi futuri impiegati e poi dopo fa una selezione. Ovviamente prende quelli più confacenti alle sue esigenze. In questo contesto e con questa specifica finalità ho cercato di far venire le aziende nella nostra Facoltà e farle dialogare in modalità costruttiva con i laureandi. Far loro capire quali sono le possibilità che possono provenire dalle aziende e non parlo solo di possibilità d’impiego.

A me interessa che i ragazzi possano avere la percezione di cosa li aspetta dopo. Le dinamiche aziendali sono molto cambiate negli ultimi anni. Esistono soggetti differenti che interagiscono nella azienda. Il digitale, ormai lo abbiamo capito, è una strada che abbiamo imboccato tutti, volenti o nolenti. Ho sempre detto che quando ritorneremo alla normalità non potremo dimenticarci di quello che abbiamo imparato. Consideriamo, ad esempio, le riunioni in video conferenza. Quando 3 anni fa ci veniva proposta una riunione online, di solito tendevamo a scartarla, preferendo una riunione di persona. Oggi invece è normale. Dal punto di vista privato, le aziende hanno scoperto il lavoro a distanza. Ovviamente con la distanza ci sono anche dei risparmi. Le persone sono contente di stare a casa. Io ho lavorato 10 anni a Viterbo quindi conosco bene il pendolarismo. Come università siamo sempre stati abbastanza tradizionali, crediamo negli incontri di persona e nelle interazioni umane, eppure il Covid ci ha aiutato a comprendere che il mondo digitale può essere parte di un evoluzione che non stravolge le reazioni umane ma le “completa” rendendole più flessibili anche sulle distanze fisiche che prima dovevamo colmare di persona.

Molti grandi manager hanno avuto maggiore modo di interagire con noi usando i canali digitali. Il processo di digitalizzazione in Facoltà è estremamente strutturato. Tanti servizi originariamente erogati in modo tradizionale sono stati da noi tramutati in servizi digitali. Ora abbiamo prenotazione online dei posti in aula, digitalizzazione delle riunioni degli organi collegiali, procedure automatizzate per la convocazione commissioni di laurea etc..

D: La discontinuità è un aspetto costante del contesto economico ed aziendale. A tuo avviso come il mondo accademico, a volte ritenuto ancora distante, può supportare l’evoluzione delle aziende italiane?

Menti fresche. Il ragazzo che esce da un percorso e dal contesto universitario ha una visione vergine del mondo aziendale. Questo approccio, con una forte connotazione teorica, è tuttavia un vantaggio in molti contesti aziendali dove il leit motiv è “si è sempre fatto cosi”. È una logica aberrante che non vede oltre il proprio naso. Se ci sono nuovi metodi di affrontare un problema è bene concepirli.

Può esserci una iniziale ritrosia al cambiamento ma il risultato finale è quello positivo. In questo i giovani che escono dall’Università sono un motore fondamentale. Lato università, sono quel potenziale che permette alle aziende di avere un approccio contrario ad “abbiamo sempre fatto così”. Lato docenti esiste un continuo stimolo per far si che i corsi siano aggiornati, in linea con le esigenze delle aziende. È importante comprendere che oggi viviamo in un ambiente dove il tuo interlocutore cambia continuamente. Il confronto è una crescita continua, è uno stimolo per portare qualcosa di nuovo. Quando organizziamo i seminari, badiamo sempre ad un continuo scambio di opinioni utili a tutti gli attori del cambiamento: studenti, docenti, aziende. A me interessa che i giovani abbiano la possibilità di avere una visione su tante realtà differenti. È un’iniziativa che permette di far loro comprendere cosa c’è fuori, ed è lo stesso per le aziende che si aspettano nuove idee.

D: Il mondo della managerialità frazionale è un fenomeno in forte crescita. A tuo avviso come questo settore può evolversi ulteriormente in sinergia come il mondo digitale?

Cerco sempre di trovare il lato positivo nelle cose difficili. Anche nelle grandi difficoltà in cui ci siamo ritrovati, ho cercato di estrarre quello che poteva esserci di buono, per esempio apprendendo nozioni nuove in campo digitale. Questo fenomeno del fractional è una realtà innovativa che ho scoperto di recente. Ho capito qual era l’essenza di questa nuova forma. Ho capito in che direzione va. È una modalità di lavoro che va a braccetto con la modalità digitale. È estremamente importante in tante realtà. È un approccio che, in ambito aziendale, permette di “smussare” l’effetto del “nuovo arrivato” che, specie nelle Pmi, rischia di inficiare la capacità della nuova risorsa, in  particolare se senior, di portare miglioramenti richiesti dalla proprietà.

Temporary e fractional sono differenti. Il temporary arriva, svolge un’attività e va via. Un esempio classico è nella ristorazione: per 6 mesi il temporary manager lancia un nuovo locale e lo segue per un certo periodo ma poi se ne va e, se coloro che rimangono non hanno appreso correttamente l’input, si rischia il crollo dell’attività. È il progetto, piuttosto che il tempo, il vero valore aggiunto per raggiungere risultati apprezzabili. L’ottenimento di un determinato risultato, secondo me, è il vero traguardo per un’attività di questo genere. Non si lega ad una scadenza temporale, ma al risultato che deve essere ottenuto. Il fractional, in questo senso, aiuta se svolge la sua attività a distanza, se entra in punta di piedi, specie in aziende familiari in cui, così facendo, si evita l’effetto “straniero” di cui parlavo prima. Un accompagnamento discreto sicuramente rappresenta il valore fondamentale di un’attività di questo genere

Un Fractional Executive può fare la differenza per una PMI.

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