Daniela Fatarella
Direttrice Generale Save the Children Italia
___________________________________
D: Hai dedicato la tua intera vita professionale al terzo settore, sino a coronare il tuo percorso giungendo ai vertici di Save the Children. Che cosa ti ha guidato e ispirato in tutto questo percorso?
Gli anni all’Università di Siena, dove mi sono laureata in Scienze della Comunicazione nel 1999, e ancora di più le esperienze a Londra e presso le Nazioni Unite a New York, hanno rappresentato un capitolo imprescindibile nella mia formazione e contribuito alla costruzione di una forte consapevolezza che il sociale, settore cui da anni dedicavo con passione il mio tempo come volontaria, potesse rappresentare il mio futuro professionale. L’esposizione ad un mondo no profit di stampo anglosassone animato da persone altamente qualificate e competenti, con un forte focus all’efficacia e all’efficienza della missione, mi hanno convinto che questo è l’approccio al cambiamento che voglio perseguire e che posso contribuire ad implementare anche nel nostro Paese.
La mia visione del terzo settore è quindi quella di un partner di riferimento qualificato ed innovativo per combattere le diseguaglianze, attraverso politiche di intervento scalabili, in partnership con istituzioni e settore privato. Per farlo, ho lavorato negli anni per rendere organizzazioni come Save the Children, realtà capaci di esprimere le migliori competenze, attente a creare un sistema di fund raising efficace e di lungo periodo, forti nell’investire fondi crescenti in azioni di advocacy e di cambio di politiche e prassi, oltre che in attività programmatiche misurabili e finalizzate a creare empowerment nelle comunità in cui si inseriscono.
Nella mia vita professionale, ho avuto la fortuna di incrociare figure che con la loro passione, visione e professionalità hanno reso più chiara la direzione del mio viaggio. Questi incroci mi hanno positivamente contaminato, mi hanno influenzata e ispirata nel voler essere una forza gentile del cambiamento. La capacità di essere agente di cambiamento con la forza della gentilezza è una scelta consapevole, perché per esercitarla ci vuole coraggio. In un mondo in cui chi afferma una tesi anche senza solidità e chi genera paura è ascoltato, io sono certa che possiamo e dobbiamo avere un ruolo capace di creare impatto e di mettere in luce buone pratiche positive. La pratica della gentilezza non significa quindi sottrarsi al conflitto, ma avere il coraggio di affrontare il mondo consapevoli della sua complessità ma anche delle nostre capacità e possibilità di cambiarlo. Ecco, quindi, che per me la leadership si esprime attraverso il fattore E: empatia ed empowerment.
D: Quale leader di una delle organizzazioni più rilevanti nel terzo settore, come pensi che Save the Children possa evolvere supportando sia la società civile sia la crescita dei brand delle aziende italiane, in quanto supporter di azioni di charity?
Ritengo che Save the Children, così come altre ong, abbia un ruolo fondamentale nel diffondere tra le aziende una cultura che non sia meramente di donazione, ma rappresenti piuttosto un percorso di consapevolezza in cui il mondo profit possa impegnarsi a rivedere in modo innovativo i propri modelli di business. In Italia, l’80% dei 140 milioni euro che Save the Children raccoglie, proviene da privati e aziende. Abbiamo circa 40-45 partner aziendali che lavorano con noi. Negli anni abbiamo imparato che occorre creare una profonda e continua sinergia tra profit, non profit e istituzioni. Le aziende, oggi, vogliono essere parte integrante del processo, veri e propri co-progettatori, mettendo a disposizione non solo fondi, ma le loro conoscenze, il personale volontario e le reti di relazioni. La condivisione dei valori è alla base di questa relazione di fiducia, nella quale una Ong come Save the Children non è vista solo come un ente da sostenere finanziariamente, ma un attore che riesce a supportare l’azienda nella totalità del suo impegno, volto all’adozione di parametri etici ed operativi nuovi. In questa relazione positiva, vengono coinvolti anche i dipendenti, i clienti, i fornitori, tutta la filiera produttiva, che vedono nell’impegno dell’azienda un elemento positivo e di valore. Proprio per questo, accompagniamo i nostri partner nel loro percorso di due diligence e di screening preventivo, perché conoscano meglio gli impatti delle loro attività di business sui bambini e sugli adolescenti e si impegnino a mitigare i rischi di violazione dei diritti umani lungo la filiera.
Ogni volta che collaboriamo con un’azienda è fondamentale lo strumento dell’assessment, una valutazione che ci permette di meglio comprendere con chi lavoriamo, di capire anche che tipo di relazioni possiamo intraprendere e come garantire sempre l’indipendenza della nostra Organizzazione. Abbiamo molti esempi virtuosi di collaborazione Con Amazon, per esempio, siamo riusciti a mobilitare beni verso l’Ucraina, grazie alla loro vitale capacità di organizzare la logistica. Con Ferrero abbiamo sviluppato delle strategie di filiera sostenibile ,in alcune aree e comunità che sarebbero difficili da raggiungere con i soli strumenti di Save the Children.
Il futuro è un territorio in cui le istituzioni potranno fare molto, definendo le linee guida e le direttive, ma il ruolo attivo del privato e del privato sociale sarà fondamentale, per creare relazioni virtuose che realmente possano apportare cambiamenti positivi e duraturi soprattutto nelle are più deprivate del mondo.
Altro elemento chiave è la finanza d’impatto, verso la quale Save the Children, si orienta e che si basa sulla promozione, appunto, dell’impatto ambientale o sociale positivo e misurabile, tale da consentire una valutazione oggettiva e indipendente dei risultati
D:La discontinuità è un aspetto costante del contesto economico ed aziendale. A tuo avviso, sia B2C che B2B, come si possono affrontare i momenti critici, data la tua ampia esperienza in scenari di crisi?
Attualmente ci troviamo in un mondo che è sempre più flagellato dalle crisi umanitarie: conflitti, clima, post Covid, sono le tre C che hanno creato una tempesta perfetta che dura nel lungo periodo. Nelle situazioni emergenziali è fondamentale agire subito, ma è altrettanto indispensabile attuare un meccanismo di prevenzione e preparazione ad eventi estremi, affinché l’impatto delle crisi possa essere contenuto e si riesca a gestire al meglio la ripresa. Esattamente come può accadere in un contesto B2C e B2B.
Noi di Save the Children abbiamo imparato che ogni crisi deve essere vista anche come una opportunità di portare cambiamenti duraturi. E’ importante quindi tenere la barra a dritta, lavorando con una strategia di lungo periodo. Quindi è fondamentale agire per dare soluzioni immediate, ma è anche vitale adottare una pianificazione sul lungo periodo. Il Covid ci ha insegnato che la cosa fondamentale, in un momento di crisi, è essere flessibili e pronti a reagire, e poi serve capacità di pianificare analisi di scenario, assessment per intercettare le eventuali sacche di bisogno: è un vero e proprio cambiamento di approccio, in cui non si può prescindere dalla capacità di visione e strategia di lungo periodo.
Se ad esempio vogliamo davvero risolvere la crisi alimentare che attualmente flagella molti Paesi a livello globale, non basta inviare cibo. Occorrere, al contempo, strutturare piani di contingenza, definire e implementare strategie alimentari di lungo periodo che implicano una comprensione del territorio, delle risorse naturali presenti in quell’area e lo sviluppo di metodi agricoli in linea con i cambiamenti che la crisi ambientale ha determinato. Solo così si potrebbe interrompere una spirale, intervenendo anche alla radice del problema, i cambiamenti climatici, che sono una delle cause delle crisi umanitarie e dei nuovi conflitti
D: – Pensando ai manager fractional, e tutte le altre figure professionali che si promuovono presso il mondo delle ONG… in che modo ritieni questa tipologia di managerialità possa essere un valore aggiunto per le ONG importanti come STC?
Le Organizzazioni non governative spesso vengono valutate solo su un criterio: l’impiego dei fondi per attività sul campo e il rapporto con i costi che devono sostenere. Occorre però concentrarsi sull’efficienza progettuale, che implica la possibilità di investire su risorse umane, finanza, operations, con figure professionali in grado di massimizzare l’utilizzo dei fondi sul campo. Il nostro settore va analizzato in base all’impatto che riesce a generare, non quindi sul criterio del “risparmio” ma su quelli dell’efficacia ed efficienza E per garantire questo approccio dobbiamo affrontare un tema legato alla professionalità delle funzioni che lavorano in una ONG, che devono esswre altamente professionalizzate. Un direttore finanziario o un responsabile dell’area IT e digital devono poter portare nell’Organizzazione le migliori competenze, proprio per la delicatezza e centralità delle aree che supervisionano.All’interno della nostra organizzazione i profili professionali provengono quindi anche dal mondo profit, e portano all’interno un’esperienza che li fa essere un valore aggiunto importante. Sono persone che hanno fatto una scelta, delle rinunce, ma hanno competenze di alto profilo da spendere a favore della nostra missione.
Avere dei fractional manager è molto utile specialmente in situazioni di transizione dove la complessità di un nuovo progetto o scenario deve essere compresa in modo veloce. Ci sono molti manager le cui competenze sono estremamente mirate e precise, e il fatto che siano disponibili sotto forma di fractional, permette alle aziende o anche alle organizzazioni di poter accedere a queste competenze in modo rapido. Penso, per esempio, ad un CFO fractionalal capace di impostare l’intera struttura di revisione, di change management, di startup. Il nostro approccio è quello di utilizzare expertise esterne se necessarie ed è capitato di avvalerci di queste figure anche in caso di cambiamenti importanti. Una volta impostati i nuovi progetti siamo soliti poi integrare con risorse stabili che possano continuare il percorso definito anche grazie al supporto delle figure esterne.